A Bologna c’è una grande malata: è la Garisenda, la più bassa e inclinata delle Due Torri, diventa insieme alla più alta Asinelli il vero simbolo della città. È difficile pensare al capoluogo dell’Emilia-Romagna senza far saltare alla mente la loro immagine ma oggi, sebbene sia storicamente inclinata e con una lunga storia di interventi di salvaguardia (poco dopo la sua costruzione venne capitozzata per motivi di sicurezza, per esempio), ha bisogno di cure piuttosto urgenti. Da tempo, per tenere monitorato il suo stato di salute e i suoi movimenti cronici, è stato istituito un comitato tecnico scientifico ed è stato proprio quest’ultimo, a metà ottobre, ad aver lanciato l’allarme per l’aggravarsi della situazione. «I valori di probabilità di collasso sono inaccettabilmente elevati, oltre 10.000 volte superiori a quanto tipicamente consentito dalle norme», hanno infatti messo nero su bianco i membri del comitato tecnico scientifico nella loro relazione consegnata al sindaco, per poi aggiungere: da un punto di vista ingegneristico, non di protezione civile, «la situazione è da codice rosso. Bisogna portare l’attenzione in condizioni di massima allerta, ritenendo che non sussistono più le condizioni di sicurezza».
Dopo una serie di azioni immediate e di una variazione della viabilità circostante, con chiusura al traffico di via San Vitale e delimitazione della fruizione di piazza di Porta Ravegnana, a inizio dicembre hanno preso il via i primi lavori di messa in sicurezza e, in futuro, di restauro: a coordinare un neonato comitato di esperti per la fase di messa in sicurezza Raffaela Bruni, per tanti anni direttrice del dipartimento cura e qualità del territorio del Comune di Bologna. I primi a far parte del pool di esperti, l’ex rettore dell’Alma Mater e attuale presidente di Cineca e Ifab, Francesco Ubertini, professore ordinario dell’Unibo in Scienza delle costruzioni; il prof di Ingegneria strutturale dell’Alma Mater, Massimo Majowiecki, fondatore anche dello studio che porta il suo nome di progettazione strutturale; e Nunziante Squeglia del Dipartimento di Ingegneria civile dell’Università di Pisa che ha collaborato in passato al progetto di salvaguardia e di stabilizzazione della Torre di Pisa.
I cantieri sono entrati nel vivo con la realizzazione di una struttura di contenimento, che ha rappresentato anche la prima fase di messa in sicurezza della torre e dell’area limitrofa: si tratta della posa di una rete e di una serie di contenitori metallici. A occuparsi della realizzazione di questa cintura di protezione la Fagioli Spa, il cui scopo prioritario è quello di contenere i detriti causati da un eventuale crollo, consentendo al contempo di ridurre le vulnerabilità di persone ed edifici vicini e di limitare l’accesso dall’area sottostante la torre. I moduli metallici, zavorrati e ancorati al terreno, sono completati da reti metalliche paramassi. Tuttavia le azioni collaterali, in questa fase, riguardano anche una serie di interventi assegnati all’impresa Modena Ingegneria: nello specifico, cantierizzazione, rimozione dei fittoni e della pavimentazione in granito, deviazione dei sottoservizi, realizzazione di fondazioni profonde tramite micropali verticali autoperforanti. Difficile fare una stima di tempi e costi di intervento, ma è possibile paragonarli ai dieci anni utilizzati per la Torre di Pisa.
In città, appreso dell’allarme legato appunto alla salvaguardia della torre, si è aperto, anche grazie al contributo dei quotidiani locali, un ampio dibattito tra esperti, architetti, urbanisti e ingegneri, amministratori comunali di oggi e degli anni passati: tutti hanno offerto il proprio punto di vista, sfruttando molto spesso anche l’occasione per aprire all’opportunità – se non addirittura alla necessità – di cogliere questa occasione per ripensare la vivibilità e la qualità della fruizione del centro storico e non solo, nonché per porre l’attenzione sulla salvaguardia di tutto il patrimonio storico e architettonico della città.
Molti, tra gli interpellati, si sono per esempio espressi a favore della pedonalizzazione dell’area più prossima alle Due Torri, a partire dall’architetto Mario Cucinella che, pur sottolineando la diversità di ciascun edificio e delle altrettanto diverse risposte a seconda dei materiali utilizzati, ha posto l’attenzione sulle elevate vibrazioni provocate dal passaggio degli autobus. Una posizione analoga è stata espressa anche da Simone Gheduzzi, che parlando al Corriere di Bologna ha allargato lo sguardo a un triangolo pedonale, che abbia come angoli, oltre alle Due Torri, piazzo Santo Stefano e piazza Minghetti: «Un’area dove si valorizza il pedone e una mobilità dolce – ha sottolineato –. Diventerebbe così uno spazio interessante dove per esempio sarebbe bello vedere giocare i bambini, che in strada non scendono più: un segnale importante per una città che ambisce al meglio. Sicurezza, partecipazione, famiglie».
Allo stesso giornale ha parlato anche la professoressa dell'Alma Mater Danila Longo, che ha posto l'attenzione anche alle alternative per affrontare i cambiamenti climatici: «In parallelo, è fondamentale cogliere l’occasione per ridurre l’impatto ambientale su alcuni sistemi fragili, come quello storico-architettonico, e su alcune categorie di cittadini. Ripensare la città come rete di infrastrutture di connessione green è una sfida e in questa l’adattamento ai cambiamenti climatici è una priorità assoluta. L’impronta termica della città, per esempio, rivela che servono rifugi climatici, in particolare per i più fragili e gli anziani. Trasformare la città storica in una rete di climate shelter potrebbe essere una strada, collegata con uno dei progetti strategici della città di Bologna (Impronta Verde) e più in generale con la chiamata di Bologna a diventare climaticamente neutrale nel 2030».
Sulla stessa linea anche l’idea di Massimo Iosa Ghini che, interpellato da Repubblica Bologna, ha espresso la necessità di osare nel ripensamento di una nuova viabilità leggera e a basso impatto ambientale: «Dobbiamo pensare ormai a un futuro di città che abbia un numero di veicoli inferiore rispetto agli attuali – ha evidenziato –. Tutto ciò certamente libererà degli spazi che potranno essere occupati anche a livello urbano da sistemi di verde che in un certo senso si collegano a quello che è il sistema dei parchi-giardino urbani con una sorta di compenetrazione tra parchi urbani periferici e isole verdi all’interno del tessuto antropizzato». Ed è dalle colonne dello stesso giornale che ha parlato anche l’urbanista Emiliano Gandolfi, favorevole a un ripensamento del centro anche in relazione allo sviluppo turistico della città degli ultimi anni.
Importanti voci sono emerse anche tra gli ingegneri di Bologna, a partire proprio da Majowiecki, intervistato ancor prima di entrare nel team di esperti dal Corriere di Bologna. In quell’occasione, in riferimento alla collaborazione con John Burland per i lavori sulla Torre di Pisa. «Intervenni per l’opera di salvaguardia della Torre di Pisa – ha ripercorso il prof –. Per tenere stretta la torre utilizzai un sistema di funi agganciate alla vita del monumento per poi riportarla indietro lentamente con due macchine che peraltro sono ancora lì».
Il paragone tra le Due Torri può dunque sussistere sia a livello di pendenza, sia di movimento, proprio come ricordato anche dall’ingegner Pierluigi Bottino, attivo in Comune a Bologna all’epoca dell’amministrazione Fanti: «È dal 1902 che si studiano i suoi movimenti, fin dall’epoca del professor Francesco Cavani. Come sappiamo la Garisenda soffrì da subito e venne mozzata immediatamente di dodici metri». Anche l’ingegner Bottino si è detto favorevole a una pedonalizzazione dell’area intorno alle Torri e a un ripensamento di tutto il centro, tenendo conto di quanto una fruizione lenta, a passo d’uomo più che su enormi autobus, possa andare a beneficio dei bolognesi, dei residenti e anche dei turisti.