Il lato umano, il contatto attraverso tutti i cinque sensi e la fisicità; tutto ciò di cui siamo stati a lungo privati è il cuore della rassegna internazionale Torino Design of the City. È già tempo della sua nuova edizione, in programma fino al 31 ottobre, ma quest’anno più che mai si vuole dare valore alla sua comunità inclusiva, alla sua capacità di fare rete e di dialogare per rendere esplicita la sua filosofia più tradizionale: discutere e ampliare il confronto sul design come fattore di crescita sociale, economica e culturale, ma anche come strumento per riscoprire la dimensione più umana e intima della città. Inutile dire come un simile dibattito sia ancor più stringente nel contesto storico attuale, forte di un’esperienza già acquisita nel corso dei festival passati: Torino è infatti l’unica italiana nominata tra le trenta “Città creative Unesco per il design” (le altre appartengono ad altre reti, come letteratura, musica o gastronomia), ampliando poi il proprio sguardo a soluzioni innovative adatte a specifici settori, quali la cultura e il turismo.
Nella parola stessa “progetto” è contenuta una speranza, una prospettiva che guarda al futuro: ora come non mai ci si è resi conto di quanto faccia la differenza lavorare in tal senso insieme, ridisegnare gli spazi di vita, l’urbanistica e, ancora, il rapporto stesso tra persone e ambiente. Da questi presupposti si sono calendarizzati eventi, mostre, incontri e laboratori da seguire sia in presenza sia online, tutti intrecciati dal fil rouge del “toccare”, dell’“entrare in contatto”. «Oltre alle attività espositive all’interno della sede principale, il Toolbox Coworking – hanno spiegato i coordinatori artistici del festival, Fabio Guida e Ilaria Reposo – si andrà direttamente incontro ai cittadini. Il “Graphic Design”, per esempio, è stato pensato proprio come occasione per esplorare il territorio e accedere a luoghi insoliti o a location solitamente chiuse al pubblico».
Tutto questo, dunque, vuole ribadire la necessità sempre più stringente di un nuovo rapporto, forse non sufficientemente valorizzato fino a questo momento ma sul quale la pandemia ha puntato i riflettori, tra cittadini e territorio, in un certo senso basato anche su una fiducia implicita tra protagonisti alla pari della vita nel mondo. Ed è questo il messaggio che si vuole lasciare con la rassegna “Utopian Hours” (in programma dall’8 al 10 ottobre), sul tema, come spiegato dal fondatore e creatore artistico dell’organizzatrice Torino Stratosferica, Luca Ballarini, della 1000 minute-city: «È un inno positivo rivolto al futuro per immaginare una città non più legata alla sola materialità del territorio, ma all’idea stessa dell’essere cittadini, sempre e ovunque».
Il progetto, ideato dal Comune di Torino, ha il sostegno di Fondazione CRT, Compagnia di San Paolo, Camera di commercio di Torino, Politecnico e Università degli Studi di Torino ed è realizzato con Turismo Torino e Provinciae in collaborazione con il Tavolo Consultivo del Design, che interessa circa 50 soggetti pubblici e privati. E sono proprio i vari enti ad aver organizzato eventi e incontri.
The 1000-minute city (the city is everywhere) è la richiesta di un cambio di paradigma, di prospettiva, declinata nel racconto delle migliori best practice internazionali del “fare città”: progetti ambiziosi, sfide visionarie, tecnologie innovative e dall’alto impatto sociale. Ma, al di là del nome del progetto, le ore utopiche sono quelle giuste per far emergere idee e nuove visioni sul concetto stesso di città.
La prima giornata si apre con i protagonisti di un fermento che si sta già facendo sentire a Glasgow, la città ospitante il prossimo novembre della conferenza Onu sul cambiamento climatico: è da lì che si sta levando una progettazione dal basso del post-pandemia. La chiusura dell’8 è tutta per Robert Hammond, uno dei due animatori del più grande progetto di riqualificazione di New York: due chilometri di ferrovia sopraelevata trasformata in un parco.
Tra i temi del 9 ottobre, “la vita sull’acqua”, prendendo spunto dalla lezione di Kunlè Adeyemi, già Leone d’Argento a Venezia, con le sue palafitte per affrontare il cambiamento climatico. E poi si chiude, tra le altre cose, con il talk del 10 ottobre a cura di Mette Skjold, a capo dello studio danese SLA e icona dell’impegno nel riportare la natura al centro della vita urbana.
“Datapoiesis” utilizza i dati e l’intelligenza artificiale per creare oggetti e situazioni capaci di condurre tutti quanti a comprendere e a percepire gli effetti del complesso fenomeno della globalizzazione.
Il primo oggetto datapoietico realizzato è una lampada illuminata di rosso, chiamata appunto “Obiettivo”: non si spegnerà finché la povertà estrema nel mondo non scenderà sotto la soglia di 500 mila persone (alcuni dati oggi parlano di oltre 100 milioni). Alimentata da dati provenienti da istituzionali globali, l’intensa luce pulsante diventa dunque un allarme acceso sulla giustizia sociale, un monito che mantiene svegli e, si spera, consapevoli. L’installazione a Palazzo Barolo è un atto simbolico attraverso il tempo e lo spazio: tramite i dati, i poveri di Torino che i marchesi Giulia e Tancredi ospitavano in quell’ingresso, diventano i poveri di tutto il mondo.
L’obiettivo è pertanto chiaro: accendere un nuovo tipo di sensibilità e di spirito di cooperazione per contrastare una condizione di povertà sempre più dura. Condizione che, in questo modo, può essere vista in una forma fisica, non più solo come concetto astratto.
Si è arrivati alla conclusione del progetto “Torino Mobility Living Lab” avviato nel 2017 con l’appoggio del ministero dell’Ambiente, volto a sviluppare nuove forme di mobilità casa-scuola e casa-lavoro nel contesto di un quartiere densamente popolato. Ora l’obiettivo è quello di estendere e dare nuova forma ad alcuni strumenti operativi formalizzati in questi anni, quali la mobilità condivisa, l’integrazione del sistema educativo.
Un simbolico taglio del nastro a conclusione di un work in progress esteso dal 16 settembre al 16 ottobre stesso: i grandi protagonisti sono i portici di via Sacchi, le cui saracinesche sono state trasformate nelle “tele” en plein air di giovani studenti dell’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. Per curatori e artisti la storia messa in immagini non è altro che il disvelamento di un patrimonio locale antico, così da rimanere perfettamente integrata nel contesto architettonico.
Paesaggio e sostenibilità sono la chiave del progetto: un artigiano in coppia con un designer, moltiplicati per dieci gruppi, presentano in una rassegna collettiva dieci diverse interpretazioni e sguardi sul tema dell’infinita bellezza green del territorio. Tutto servendosi, per i rispettivi prototipi, di materiali differenti; dalla carta alla ceramica, dal ferro ai tessuti; oggetti in mostra all’interno del bookshop della Reggia Venaria Reale. Tra questi, zuppiere sabaude in porcellana, lampade di vetro, gioielli, sculture e tanti altri.
Cosa significa oggi essere una città creativa? Ha ancora lo stesso valore di un paio di anni fa? Si sente la necessità di una riflessione sulla crisi attuale, che incide su tutti gli aspetti di ciò che definisce una “città creativa” e colpisce il tessuto produttivo, distributivo e formativo. Da qui è arrivata l’idea di incontrarsi per provare a dare insieme risposte e trovare alternative a questa nuova normalità.
L’incontro, in linea con le iniziative del neonato ADI Museum di Milano, nasce con l’obiettivo di raccontare le idee, la ricerca e lo sviluppo teorico-pratico dei progetti che hanno portato alla realizzazione dei prodotti d’eccellenza piemontesi vincitori del Premio Compasso d’Oro. Cosa c’è di più prezioso, racchiuso in un processo creativo di progettazione, che un pezzo insignito di un premio illustre? A raccontare passione, curiosità e creatività che si concretizzano in sperimentazioni di nuovi materiali, tecnologie e processi, fino al prodotto finito, ci sono gli stessi designer e le aziende vincitrici. Incontri che, come nuove chiavi, aprono le porte al backstage delle eccellenze del design piemontese, attraverso le voci dell’esperienza e della passione di progettisti di fama internazionali e delle aziende che le hanno rese tali.
Tra gli appuntamenti da non perdere, il 19 ottobre presso il Museo dell'Automobile di Torino, The Plan organizza il decimo appuntamento dei Seminari di Architettura, sul tema "L'architettura che Verrà" con la partecipazione di Giancarlo Floridi, architetto fondatore di Onsite Studio con base a Milano, per confrontarsi con “Old/New”; e l’architetto Peter Jaeger, fondatore dello studio di Torino che prende il suo nome, per parlare proprio di approccio olistico.
Qui maggiori informazioni e programma dettagliato del festival Torino Design of the City
Location: Torino
Creative Director: Fabio Guida e Ilaria Reposo
Photos are courtesy of Torino Design of the City