«Sono convinto che esistiamo per scoprire e inventare». Nelle parole di Sir Peter Cook, fondatore di Archigram, lo spirito ottimista e visionario che animava l’avanguardia architettonica nata negli anni Sessanta a Londra è ancora attuale. «Quello che mi interessa maggiormente – prosegue – è il vocabolario dell’architettura: è importante vedere molte opere più che realizzarle». Camicia scura a pois bianchi e occhiali tondi color blu elettrico, Peter Cook racconta 60 anni di lavoro, come progettista e come insegnante, da una stanza della sua casa inglese, con una parete rivestita di pupazzi colorati e un’altra occupata da una libreria piena di volumi, di fronte a una finestra affacciata su un giardino ricco di piante.
«Certamente non progetterei mai un edificio grigio», assicura l’architetto, che in questi sei decenni di attività ha espresso il suo pensiero attraverso una quantità innumerevole di disegni, molti dei quali sono raccolti nell’ampia collezione della mostra Peter Cook – City Landscapes, che resterà al Louisiana Museum of Modern Art di Humlebaek, in Danimarca, fino a domenica prossima 8 maggio. In autunno, la mostra si sposterà a Oslo per la Triennale di Architettura 2022, annuncia l’architetto, che sta anche lavorando a un nuovo libro, in uscita nei prossimi mesi: «Si intitolerà Speculations e, oltre a un’ampia raccolta dei miei disegni, includerà testi di Frank Ghery, Thom Mayne, Peter Wilson e Toyo Ito».
Classe 1936, Peter Cook ha studiato architettura al Bournemouth College of Art e all’Architectural Association di Londra, dove ha poi insegnato per 26 anni. È stato professore anche alla Staedelschule di Francoforte e alla Bartlett School of Architecture – UCL. Negli anni Sessanta è stato tra i fondatori dell’avanguardia Archigram insieme a un gruppo «sgangherato» architetti britannici: Warren Chalk, Dennis Crompton, David Greene, Ron Herron e Michael Webb. Con la rivista omonima, Archigram ha svolto una vivace ricerca progettuale soprattutto sul tema della città, indagandone i rapporti con le nuove tecnologie di informazione – il nome stesso viene dalla fusione tra “architecture” e “telegram” – influenzando un’intera generazione di architetti e urbanisti e animando il dibattito di quegli anni.
Tra le proposte progettuali elaborate nel contesto di Archigram, c’è ad esempio Plug-in City, la città connessa: una megastruttura che incorpora residenze, trasporti e altri servizi essenziali, nella quale gru giganti servono per attuare una continua ricostruzione. Nel 2002, il RIBA (Royal Institute of British Architects) ha premiato il gruppo Archigram con la Royal Gold Medal. Nel 2006, Peter Cook ha fondato lo studio CRAB insieme a Gavin Robotham e, in anni più recenti, lo studio CHAP insieme a Erlend Blakstad Haffner e Branko Belaćević.
Disegnare è la maniera più chiara ed esaustiva per esprimere e discutere le visioni del futuro, spiega Peter Cook, interessato soprattutto a studiare il linguaggio dell’architettura. Così, i disegni per progetti che con tutta probabilità non verranno mai realizzati hanno un’importanza fondamentale: «Lo sforzo di disegnare qualcosa ti dà il tempo di pensarci», poiché il cervello e la mano sono strettamente legati tra loro.
«Quando ero uno studente, non ero bravo a disegnare dal punto di vista tecnico e tuttora non sono in grado di realizzare un ritratto. Però ero determinato a comunicare idee e nel tempo mi sono esercitato a disegnare progetti di architettura, utilizzando strumenti come righe, squadre, curvilinei e osservando persone che disegnano meglio di me. Così ho migliorato le mie abilità e ho sviluppato un mio stile».
Anche se utilizzano una grafica vicina alla fumettistica e sono imbevuti di cultura pop, anticonvenzionali e provocatori, i disegni di Peter Cook non rappresentano architetture utopiche, avverte l’autore, ma progetti potenzialmente realizzabili, come dimostra la Kunsthaus di Graz. Il Museo d’Arte Contemporanea della città austriaca, progettato insieme a Colin Fournier e da loro stessi soprannominato “Friendly Alien”, è stato costruito nei primi anni Duemila. L’iconico edificio di colore blu si contraddistingue per le sue forme organiche e per l'installazione luminosa e multimediale BIX che caratterizza la facciata.
«Tengo lezioni e scrivo libri, ma non sono un teorico: mi piace disegnare e realizzare cose. Il mio approccio non si basa su considerazioni filosofiche, ma sull’osservazione della realtà. Penso che l’architettura sia un’esperienza: per progettare qualcosa, è importante vedere molte architetture e analizzarle con un occhio critico».
«Faccio parte della generazione che appartiene alla corrente del Funzionalismo: l’organizzazione degli spazi è la priorità, poi bisogna creare la magia. L’architettura è come un teatro, dove si possono sperimentare effetti sorprendenti: un oggetto inaspettato, una superficie che da opaca diventa traslucida e poi vetrata, per ribellarsi a quella che chiamo “la tirannia delle finestre”. Le cose si rivelano oppure si nascondono a mano a mano che ci avviciniamo e le conosciamo».
L’approccio progettuale di Peter Cook propone dunque un insolito e mix tra pragmatismo e fantasia, concretezza e teatralità, come spiega lui stesso che, oggi come ai tempi di Archigram, è sempre impegnato – matita, colori e righello alla mano – a «far avanzare lo stato dell’arte».
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