Può l'architettura combattere i cambiamenti climatici? Un tema urgente e irrinunciabile su cui si confrontano per THE PLAN tre progettisti: Mario Cucinella, fondatore dello studio MC A di Bologna, Ben van Berkel, co-founder di UNStudio, con sede ad Amsterdam, e Bryant Lu, vice-chairman di Ronald Lu & Partners (RLP) a Hong Kong.
Temperature torride, tempeste più intense e frequenti che causano inondazioni e frane, aumento della siccità, scioglimento dei ghiacciai e innalzamento del livello del mare. Fatti di cronaca che avvengono a un ritmo ormai preoccupante ricordano a tutti quali sono gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici. Da qui l'urgenza di contrastarli andando ad azzerare le emissioni di CO2 in atmosfera, raggiungendo così la neutralità climatica, obiettivo che l'Unione Europea si è prefissa per il 2050 con lo European Green Deal.
Se è vero che i cambiamenti climatici ci sono sempre stati, scienziati e attivisti per l'ambiente riportano l'attenzione sulle responsabilità dell'uomo in quello che sta accadendo oggi al Pianeta. Negli ultimi 150 anni, infatti, ovvero a partire dal periodo preindustriale, si stima che le attività umane abbiano aumentato la temperatura media globale della Terra di circa un grado Celsius, con un incremento attuale di +0,2ºC per decennio. In particolare, il periodo 2011-2020 è stato il decennio più caldo mai registrato.
All'interno di questo quadro, è noto come all’edilizia – considerando l'impatto ambientale delle varie fasi dell'intero ciclo di vita di un edificio – si possa attribuire una quantità importante di emissioni in atmosfera, oltre che di un elevato consumo energetico. Secondo la Global Alliance for Buildings and Construction, gli edifici sono responsabili del 36% del consumo di energia globale e del 37% di emissioni di CO2 (dati pubblicati sul 2021 Global status report for buildings and construction e relativi dunque al 2020).
Partendo da questi numeri, e dal fatto che ogni settore è chiamato a fare la propria parte in quella che è ormai diventata una corsa contro il tempo per salvare l'ecosistema terrestre, non si può evitare di chiedersi: può l'architettura combattere i cambiamenti climatici? Ecco il pensiero di tre professionisti che sono chiamati a trovare una risposta ogni giorno nell'attività del loro studio.
Qual è la posizione che l'architettura è chiamata a tenere nei confronti dei cambiamenti climatici? La direzione da percorrere è quella di combatterli, adattarsi a essi oppure, in una certa misura, entrambe le cose?
M.C.: Ciò che è fondamentale è che “combattere i cambiamenti climatici” non diventi una sorta di slogan privo poi di sostanza e contenuti. È richiesto un impegno concreto, continuativo, condiviso e, soprattutto, su molteplici fronti. E non si può sperare di invertire la rotta grazie alla “buona volontà” di pochi o con azioni sporadiche. L’architettura deve fare la sua parte attraverso una ricerca che porti a progetti che impattino in modo minore. Credo si sia sulla strada buona, pur consapevoli che sarà molto lunga e complicata. E sì, certamente deve anche adattarsi a quanto ormai è il nostro quotidiano, guardando anche un po’ oltre.
B.v.B.: Entrambe le cose. L'architettura deve sicuramente fare la sua parte nella lotta al cambiamento climatico, ma per farlo dobbiamo anche adattarci a esso nel senso di costruire una resilienza nella progettazione. Sappiamo che abbiamo urgente bisogno di ridurre le emissioni di carbonio sia durante la costruzione sia durante il funzionamento degli edifici. Dobbiamo poi considerare l'impronta di carbonio dei materiali che utilizziamo: i livelli di carbonio incorporato, da dove provengono i materiali, se provengono da fonti rinnovabili e se possono essere riutilizzati secondo una logica di circolarità una volta che la vita dell'edificio giunge al termine. Creare un impatto positivo in termini di clima e ambiente è un compito complesso con molte sfaccettature diverse che devono essere bilanciate durante il processo di progettazione, anche perché non esiste un'equazione perfetta che possa essere applicata a tutti gli edifici. Ogni tipologia di intervento esige un approccio diverso e tutte le decisioni progettuali si influenzano a vicenda. Sappiamo però che il raggiungimento degli obiettivi richiederà tempo, mentre il cambiamento climatico avanza. Perciò dobbiamo assicurarci che quello che progettiamo oggi, che si tratti di edifici o di città, possa adattarsi con successo alle sfide future.
B.L.: Entrambe le cose. Gli impatti dei cambiamenti climatici si fanno sentire in tutto il mondo ed è un nostro dovere collettivo combatterli in ogni modo possibile. Come architetti, ci troviamo in una posizione interessante: siamo obbligati a pensare con un orizzonte di una o due generazioni, quindi da un lato siamo chiamati a cercare soluzioni che producano la minore impronta possibile di carbonio, e dall'altro dobbiamo progettare tenendo conto dello scenario peggiore. Bisogna essere realistici e ammettere che siamo vicini al punto di non ritorno. Dobbiamo realizzare edifici in grado di resistere ai fenomeni estremi che il cambiamento climatico comporterà, ma dobbiamo anche aiutare a invertire la rotta. I due approcci principali che utilizziamo per affrontare il problema sono la progettazione biofilica e i sistemi di costruzione a basse emissioni di carbonio. Il design biofilico significa molto più di "mettere la pianta giusta nel posto giusto": vuol dire rendere gli edifici parte della natura stessa incorporando in essi le forme naturali, prestando attenzione alle variazioni di luce diurna, flussi d'aria e temperatura e aprendoli verso il paesaggio circostante. Un'attenzione a questi aspetti durante la progettazione e l'installazione degli impianti (elettrico, idraulico, sistemi di riscaldamento, ventilazione e condizionamento dell'aria...) può ridurre radicalmente l'impronta di carbonio nel corso della vita utile dell'edificio. Inoltre, ci sono accorgimenti di tipo passivo, come il vetro basso emissivo e la ventilazione naturale, che aiutano a contenere l'ingresso del calore solare e a raffreddare gli ambienti senza utilizzare energia. Ancora, su scala urbana, il concetto di "sponge city" prevede l'utilizzo di elementi come tetti verdi, spazi verdi aperti e corsi d’acqua interconnessi che possono trattenere e filtrare l’acqua in modo naturale, così da contenere gli effetti delle inondazioni.
Secondo le stime dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, entro il 2050 quasi il 70% della popolazione mondiale vivrà in città o in megalopoli. Quali nuovi modi di abitare, rispettando l’ambiente, si possono immaginare?
M.C.: Mai come durante la pandemia gli architetti sono stati interrogati sul futuro dell’abitare. "Architetto, come sarà la casa del futuro? L’ufficio del futuro? La scuola del futuro? La città del futuro?". Felici di essere, forse più di prima, ascoltati, ma nessuno di noi ha una sfera per predire il futuro. Quello che è certo è che non potranno essere più pensati progetti fini a se stessi, né progetti solo di pura estetica o di pura tecnologia. Troppi sono stati i progetti che – con questi canoni – non hanno minimamente tenuto conto del contesto, della geografia, della demografia. Ecco, l’abitare del domani deve essere sempre di più il risultato di un’analisi vera.
B.v.B.: È un tema di cui si discute ampiamente in questo momento. Penso che assisteremo a una piccola rivoluzione nel modo in cui progettiamo le nostre città, perché ci sono molteplici problemi che devono essere risolti, insieme alla crisi climatica, tra cui la densificazione. È imperativo sviluppare e implementare modelli di città ben progettati, invece di densificare ancora senza pensare che le nostre città sono già sovraffollate. Dobbiamo mettere a punto sistemi che operino all'unisono a beneficio sia delle persone sia del Pianeta: se progettati con attenzione e in maniera corretta, le aree urbane ad alta densità possono diventare luoghi estremamente piacevoli, sani e sostenibili in cui vivere e lavorare. Immagino che i modelli di città policentrici diventeranno la norma e che ci sarà molto più verde. Andremo a densificare maggiormente in senso verticale, ma ciò avverrà prestando molta attenzione agli standard ESG (Environmental, Social and Governance) e alla qualità della vita. L'agricoltura urbana diventerà più diffusa, così come lo sviluppo a uso misto e la presenza di vari livelli di servizi basati sulla tecnologia. Inoltre, verranno lanciati nuovi modelli di mobilità, di proprietà e locazione; crescerà l'economia collaborativa e anche il modo in cui ci avviciniamo all'assistenza sanitaria cambierà man mano che le persone inizieranno a vivere più a lungo.
B.L.: La densificazione urbana sta avvenendo in tutto il mondo, sia nelle città dei Paesi in via di sviluppo, sia quelle delle nazioni sviluppate, come San Francisco e Londra. Gli spazi urbani ad alta densità possono portare rapidi aumenti della qualità della vita per un grande numero di persone, in quanto infrastrutture e servizi come i trasporti, il riscaldamento e il raffreddamento centralizzati e l'accessibilità a Internet possono essere aggiornati rapidamente e a un costo ragionevole rispetto alle aree rurali o meno urbanizzate. In Asia orientale, in particolare città come Hong Kong e Shanghai, ci sono alcuni eccellenti esempi di centri urbani ad alta densità. Negli ultimi 20 anni, RLP ha maturato una grande esperienza nella progettazione di grattacieli e attualmente ci stiamo specializzando nello sviluppo urbano transito-orientato (TOD): un concetto che mescola e armonizza le destinazioni residenziale e commerciale, le opportunità di trasporto e ambientali, con l'obiettivo di promuovere una crescita urbana sostenibile, ottimizzando l'uso del suolo e massimizzando l'accesso ai trasporti pubblici. I progetti TOD in genere includono un hub di trasporto centrale – come una stazione ferroviaria, un capolinea della metropolitana leggera o un terminal degli autobus – circondato da un'area urbanizzata ad alta densità, che decresce progressivamente in una a densità medio-bassa man mano che ci si allontana dal centro. Se ben pianificati, i TOD riducono il consumo di carbonio ed eliminano l'uso dei veicoli privati, favorendo una maggiore accessibilità e una maggiore pedonabilità, incoraggiando uno stile di vita più green e incrementando il benessere di tutta la comunità. RLP sta attualmente guidando una serie di sviluppi transito-orientati in tutta la Cina, comprese sette città nella megalopoli della Greater Bay Area. Tra questi TOD, vi sono Todtown a Shanghai, un grande snodo di traffico ferroviario con appartamenti, uffici, hotel, un centro commerciale, impianti sportivi e un centro per le arti; Pinghu a Shenzhen, un progetto di riqualificazione urbana che mira a favorire uno stile di vita migliore e va a creare un'area commerciale, collegando e integrando tra loro vari sistemi di trasporto con un design eco-compatibile; Chiwan, sempre a Shenzhen, un progetto che punta a fornire reti di trasporto urbano senza soluzione di continuità e a ripristinare le colline circostanti, creando uno sviluppo ecologico e dinamico che rispetti il rapporto con il paesaggio e consenta ai residenti di vivere in armonia con l'ambiente naturale.
Città dei 15 minuti, Passivhaus, Nearly Zero Energy Building: l’attenzione al tema della sostenibilità – ambientale, economica e sociale – è sempre maggiore. Quale ruolo ha avuto la pandemia in questo senso?
M.C.: La pandemia ha forse messo più in evidenza criticità già note, ma probabilmente ha anche accelerato processi virtuosi che già erano in atto: la ricerca per lo sviluppo di progetti NZEB, per fortuna, ha natali che precedono la pandemia. Anche il tema della città dei 15 minuti non è nuovo. Si è forse però compresa maggiormente l’urgenza di affrontare con decisione certe tematiche.
B.v.B.: La pandemia ha evidenziato criticità nelle nostre città e nei nostri stili di vita così diffuse, che le persone erano semplicemente arrivate ad accettarle come normali. Criticità che spaziano dalla solitudine, l'isolamento e il bisogno di costruire un senso di comunità, all'esigenza di riscoprire il contatto con la natura, da cui la necessità di più spazi verdi. La pandemia ha anche messo in luce problematiche legate alla penuria di alloggi per i lavoratori essenziali e alla salute in generale: le nostre case e i nostri luoghi di lavoro devono promuovere il benessere su più livelli (fisico, psicologico e sociale) e tutelare il Pianeta nel suo complesso.
B.L.: La pandemia da Covid-19 si è rivelata un catalizzatore su scala globale da diversi punti di vista: non solo ci ha mostrato quanto sia vitale soddisfare i bisogni fisici ed emotivi di base dell'essere umano, ma ha anche accelerato i progressi tecnologici modificando le relazioni sociali. Basti pensare alle riunioni virtuali: in passato gli incontri faccia a faccia erano la norma, mentre ora tutti conducono le riunioni e i meeting su Zoom. L'architettura cambia e si evolve sempre con la società e questo enorme e rapidissimo cambiamento del nostro stile di vita, con il passaggio dal lavoro in presenza a quello da remoto oppure a un'alternanza tra i due, ha stimolato sia le aziende sia i dipendenti a interrogarsi su come andare avanti e a compiere delle scelte. Architetti e designer stanno lavorando duramente per adattarsi a questa nuova normalità. Oltre a creare progetti che guardano al futuro per i propri committenti, RLP prova a dare l'esempio con i propri uffici: la nostra nuova sede di Shanghai è infatti stata progettata per essere un luogo di lavoro a basse emissioni di carbonio e a basso impatto ambientale, che mette al primo posto il benessere delle persone. Uno spazio incentrato dunque sull'essere umano e concepito in maniera olistica: i parametri visivi e acustici sono impostati su livelli ideali in ogni postazione di lavoro, le scrivanie ergonomiche sono ottimizzate sia per la posizione in piedi sia per quella a sedere, la qualità dell'aria e la temperatura sono costantemente monitorate per garantire il comfort dei dipendenti e un'area comune centrale offre spuntini salutari, libri e opportunità di interazione sociale. Vogliamo che questo ufficio sia una risorsa per il nostro personale, i nostri vicini e i nostri clienti.
How will we live together? è stato il tema della 17ª Mostra Internazionale di Architettura di Venezia. Può illustrare un suo progetto che ritiene particolarmente significativo per rappresentare il futuro delle nostre città?
M.C.: Poiché tutto ritorna, ripenso a quando, molti anni fa, avevamo progettato la casa 100K: una casa low cost, a emissioni zero. Una realizzazione capace di restituire il senso di piacere dell’abitazione e ripagare il costo dell’investimento con l’energia autoprodotta grazie all’impiantistica fotovoltaica, all’utilizzo di superfici captanti energia solare per i mesi invernali, alla circolazione interna dell’aria per quelli estivi e a tutte le strategie passive adottabili per rendere l’edificio una macchina bioclimatica. Il contenimento dei costi era possibile grazie ai vantaggi della prefabbricazione industriale: non sono questi temi oggi assolutamente all’ordine del giorno?
B.v.B.: Di recente abbiamo progettato un quartiere cittadino di 10 minuti a Seoul che racchiude tutti i punti di cui sopra, nonché un distretto dedicato alla sanità a Milano. I progetti di entrambi questi masterplan affrontano molti dei problemi di oggi, proponendo nuovi approcci alla vita quotidiana negli anni a venire.
B.L: Nella visione di Ronald Lu & Partners, la città del futuro è il più possibile sostenibile e incentrata sull'uomo. Mi vengono in mente due progetti significativi del nostro studio: Treehouse a Hong Kong e il CTF Wuhan Finance Center nella Cina continentale. Treehouse è un edificio per uffici incentrato sul benessere delle persone, situato in un quartiere a uso misto e ad alta densità di Hong Kong; il progetto è risultato vincitore dell'Hong Kong Green Building Council’s Advancing Net-Zero Award. Concepito per rispondere alle esigenze della generazione che è chiamata a fronteggiare i cambiamenti climatici, Treehouse cerca di ristabilire un rapporto tra l'umanità e la natura. In questo grattacielo verde, gli elementi di architettura biofilica si intrecciano, visivamente e nello spazio: ci sono un bosco urbano e una zona umida al piano terra, sky garden, pareti e coperture verdi esterne e interne, materiali e arredi a tema “green”. Treehouse intende promuovere un modello di lavoro ibrido (a distanza e di persona) distribuito tra casa, ufficio e spazi di co-working. Inoltre, persegue un'impronta energetica positiva attraverso tecnologie, design e sistemi di gestione all'avanguardia. Le facciate inclinate auto-ombreggianti eliminano completamente il guadagno di calore solare diretto ai piani superiori, mentre i riflettori di luce orizzontali migliorano efficacemente la raccolta della luce solare e un impianto fotovoltaico sul tetto genera energia rinnovabile. Il raffrescamento passivo si ottiene catturando il vento a un'altezza 200 metri dal suolo, che poi scorre attraverso una camera di scambio termico sotto la zona umida artificiale per preraffreddare l'aria in entrata. Inoltre, un camino solare a tutta altezza crea un moto di corrente ascensionale, contribuendo a raffreddare gli ambienti. Analogamente, l'idea alla base del CTF Wuhan Finance Center è quella di creare uno spazio per la comunità che consenta alle persone di muoversi liberamente attraverso una rete pedonale tridimensionale che collega il livello della strada con quelli soprastanti e sottostanti. Il centro fungerà anche da snodo di trasporto per treni, tram autobus e battelli. L'iconica torre, disegnata per definire l'ambiente intorno a sè, sarà un nesso per tutti gli sviluppi futuri della città, ma è anche un simbolo di crescita e di un brillante futuro per Wuhan: uno spazio collettivo che unirà le persone e potrà ospitare momenti di "lavoro, gioco e vita".
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Cover image:
Treehouse - Ronald Lu & Partners
Rendering by Ronald Lu & Partners, courtesy of Ronald Lu & Partners