Un’installazione temporanea nel paesaggio naturale che, una volta rimossa, vivrà attraverso una fotografia; una composizione di conchiglie raccolte durante lunghe camminata sulla spiaggia, e successivamente posizionate e fotografate; un vaso in terracotta smaltata ispirato al processo dal quale si genera la stalagmite, chiamato "concrezione": l’opera di Niccolò Morgan Gandolfi ruota intorno all’esplorazione della natura e allo scorrere del tempo, e agli infiniti spunti generati dalla continua interazione tra questi due temi.
Nato nel 1983 a Washington, Gandolfi ha frequentato la scuola professionale di fotografia Riccardo Bauer a Milano, e in seguito ha conseguito la Laurea in Arti Visive e dello Spettacolo allo IUAV di Venezia. Artista, fotografo e designer, oggi vive e lavora a Bologna. Dalle escursioni nella natura alle sperimentazioni sui materiali condotte in laboratorio, la sua produzione creativa mal si adatta a essere inquadrata in una sola delle arti applicate, così come il suo pensiero rifugge dai confini di un’area tematica specifica, per esprimere l’arte nel suo significato più libero e profondo.
Può raccontarci il suo percorso di formazione?
All’epoca in cui studiavo fotografia a Milano, il digitale era ancora agli albori. Tuttora continuo a lavorare in pellicola, utilizzando un banco ottico (una speciale fotocamera professionale, dotata di funzioni particolari che le fotocamere portatili non presentano, ndr), che garantisce una qualità molto elevata dell’immagine. In seguito, mi sono iscritto allo IUAV, dove molti dei miei docenti erano essi stessi artisti. Tra i miei insegnanti c'erano Alberto Garutti, Mario Airò, Stefano Arienti, Armin Link, Guido Guidi, Giorgio Agamben, Angela Vettese, Adrian Paci, Lawrence Carol, Nicolas Bourriaud, Stefano Graziani, e molti altri. Dalla mia tesi di laurea, intitolata Estetica della Sopravvivenza, è nato il progetto di una fotografia incentrata su installazioni nel paesaggio.
Come si è avvicinato al mondo del design di prodotto?
Dopo la laurea, ho trascorso un anno a Los Angeles, dove ho sviluppato un progetto di ricerca sulla natura urbana della città. Come fotografo, ho realizzato servizi per privati, architetti e riviste specializzate. Per costruirmi da solo le cornici per le foto, ho iniziato a lavorare il legno e il metallo, frequentando molti laboratori di artigiani. In quella fase, ho conosciuto Claudio Volta di Doodesign, che cercava una figura come la mia, capace di realizzare prodotti unici e personalizzati, a iniziare dallo sgabello Stele, che prende la forma di un’antica colonna spezzata, rivisitata nella forma e nel colore. Doodesign mi ha dato la possibilità di lavorare su un ampio ventaglio di prodotti (tavoli, sgabelli, coffe table...), offrendomi l'opportunità di cimentarmi sempre in qualcosa di diverso.
Che ruolo riveste la ricerca sui materiali nel suo processo creativo?
Un ruolo centrale. Il mio laboratorio è pieno di materiali, che ho raccolto come se fossi un "cacciatore di reperti", ed è importante per me avere un luogo fisico dove riunire tutti questi oggetti. Mi viene spontaneo combinarli assieme, e non ho mai necessità di fare ricerche su internet o di comprare nuovi oggetti: ciò che mi serve è già tutto li, intorno a me. Una gran parte del mio lavoro ruota intorno a un tavolo su cui faccio molti esperimenti, imprimendo un’idea di accelerazione del tempo sulla materia, in un misto di archeologia e proiezione verso il futuro, perché appunto viene accelerato un processo che di norma è molto lento. La chimica è molto presente in quello che faccio.
Può fare un esempio di questo processo di lavorazione dei materiali?
Per la scocca del divano SL2, ho scelto di utilizzare il ferro, e non un altro metallo come l’acciaio o l'alluminio, per ottenere quella patina che rappresenta un elemento di unicità. Il ferro decapato viene trattato tramite spazzolatura orbitale, e successivamente viene brunito tramite un acido. Quindi la superficie viene passata a mano con una spugna abrasiva per esaltare le graffiature e, infine, la finitura viene fissata con una vernice bicomponente trasparente opaca. Anche il committente dell’opera fa parte del processo, perché si affida a questa sorta di imprevedibilità del risultato finale.
Gabriele Tosi, che ha curato la sua prima personale a Bologna nel 2015, ha detto che la sua opera “ci rende impossibile distinguere fra lo studio dell’oggetto e lo studio dei mezzi, fra lo studio del paesaggio e lo studio della fotografia di paesaggio”.
Si tratta del progetto Folding Studio, che trae ispirazione dall’idea di creare set fotografici in un ambiente naturale: mi muovevo portando in spalla uno zaino che era uno studio richiudibile (folding studio) e che mi serviva per inquadrare una pianta, un fiore, un sasso: in questo caso, è il set a essere costruito intorno al soggetto, e non il contrario, come avviene di solito. Ho realizzato tre lavori (Blacktent, Neon e BackPack), con ambientazioni e metodi operativi diversi: in ognuno di essi, la ricerca si sviluppa intorno al concetto di isolamento ed estrapolazione di un soggetto dalle dinamiche del paesaggio naturale che lo circonda. Costruire delle pareti intorno a un oggetto è un modo per valorizzare l’osservazione della natura rispetto all’incessante produzione materiale nel mondo dell’arte contemporanea.
Su quale progetto sta lavorando in questo momento?
Dopo alcuni mesi che ho dedicato all’archiviazione e catalogazione delle mie opere, ho iniziato da poco una nuova serie, che indaga l'interazione tra natura urbana e architettura, cercando i possibili punti di contatto. L’architettura è la prima delle arti, essendo strettamente legata all’uomo. Spesso occorrono tempi lunghi per capire dove porta una serie fotografica: non voglio pianificare troppo, preferisco lasciare un'apertura ai possibili cambiamenti. L'idea di base è appunto quella di combinare fotografie in bianco e nero di architetture, iconiche e ordinarie, alternandole con immagini di natura urbana, non necessariamente paesaggi, ma anche piccoli dettagli.
Cosa rappresenta per lei il concetto di “serie”?
Il fattore temporale riveste una grande importanza nell’ambito della fotografia, è insito nella sua natura. I miei non sono scatti rubati, realizzati con una macchina fotografica portatile, ma immagini che richiedono una fase di preparazione e riflessione: ritorno sul posto, posiziono il cavalletto, e aspetto una determinata condizione di luce per scattare. Ogni immagine è un viaggio.
All images courtesy of Niccolò Morgan Gandolfi