Come progettare l’educazione e per l’educazione scolastica? E, ancora, qual è il contributo delle donne in questo ambito dell’architettura?
Scuola, donne, architettura: parlare di futuro e delle generazioni che abiteranno il mondo da qui ai prossimi anni vuol anche dire affrontare, tra gli altri, questi temi, preminenti e punto di contatto di ulteriori ramificazioni dal valore altrettanto urgente. Gli edifici scolastici sono i luoghi, gli spazi dove i bambini e i ragazzi si trovano a trascorrere la maggior parte della loro giornata con coetanei, insegnanti, genitori. Per certi versi è possibile dire con la comunità tutta.
Affrontare la questione femminile vuol dire farsi carico della parità di genere, del contrasto alla violenza, del divario salariale e del gap tra uomini e donne nelle posizioni di vertice. Vuol dire per prima cosa trattare un tema culturale.
L’architettura dà forma alla nostra vita, ma è vero anche il rapporto contrario.
È a tutte queste intrecciate forze che si è voluto dare voce nel corso dell’incontro Il contributo delle donne nell’architettura contemporanea. Progetti per l’educazione in Europa: l’esempio finlandese, olandese, spagnolo e svizzero, organizzato in occasione della giornata internazionale della donna e promosso dalla Fondazione dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Milano. Un appuntamento (al momento) conclusivo di un lungo ciclo dedicato proprio al ruolo delle donne nell’architettura di oggi, curato dall’architetto Arianna Callocchia e aperto dalla presidente delle Fondazione, Marialisa Santi. Il dibattito dell’8 marzo è stato anche anticipatore dell’inaugurazione di una ricca mostra, visitabile liberamente fino alla fine di marzo, sugli stessi temi: questa, curata dalla stessa Callocchia, raccoglie una selezione di opere realizzate recentemente in Australia, Emirati Arabi Uniti, Finlandia, Giappone, Messico, Paesi Bassi, Perù, Spagna, Sud Africa, Stati Uniti, Svizzera e Turchia. Dodici progetti di nuova costruzione, di recupero architettonico, di ampliamento di edifici esistenti e di rigenerazione urbana, firmati da donne fondatrici o co-fondatrici di studi di architettura internazionali.
Tra i progetti selezionati, anche quelli di Inès Lamunière (dl-a, designlab-architecture sa), Carme Pinós (Estudio Carme Pinós), Dorte Kristensen (Atelier PRO architects) e Virve Väisänen (Luo architects), presenti in prima persona alla serata per raccontare i rispettivi progetti in Svizzera, in Spagna, nei Paesi Bassi e in Finlandia.
«Agli architetti di domani vorrei dire di andare sul posto e vedere con i propri occhi la realtà e le sue trasformazioni. Ma sono importanti anche le orecchie per ascoltare e le scarpe per camminare». Sono queste, secondo Inès Lamunière, le chiavi per un buon progetto: valgono sempre, anche e soprattutto se si tratta di dare vita a un edificio scolastico e centro di quartiere come nel caso del recupero dell’edificio preesistente, realizzato tra il 1965 e il 1975 (completato tra il 1975 e il 1980) da Jean Jacques Oberson, e ancor oggi un punto nevralgico della socialità del quartiere Pâquis di Ginevra. Si tratta dunque di un progetto di rinnovo e di riutilizzo che rende tali azioni un vero e proprio «processo contemporaneo» esemplare tanto in Svizzera quanto all’estero, che punta in primis alla qualità e al comfort di coloro che vivono la scuola attraverso un’apertura costante verso l’esterno, nonché alla valorizzazione degli spazi esterni per la comunità del quartiere e per i genitori in attesa dei propri figli oltre che per le attività didattiche praticabili fuori dalle aule. «La direzione che dovrebbe prendere l’edilizia scolastica – aggiunge Lamunière – è quella di uno spazio molto più aperto e svincolato da alcune norme troppo rigide. Aperto ad attività non solo didattiche, ma da ricercare insieme agli studenti che vivono quotidianamente tali spazi. In un certo senso la scuola dovrebbe essere la loro stessa via di crescita. Anche per questo sarebbe più giusto parlare di spazi, da mettere insieme per accogliere le attività più classiche, ma anche quelle laboratoriali e, perché no, anche quelle da fare insieme ai genitori. E poi vi è il rapporto con il quartiere: le scuole hanno un forte bisogno di essere in continuità con esso», con un doppio valore se questo è soggetto a dinamiche complesse.
Ma il compito della scuola e del suo spazio, a suo avviso, dovrebbe essere anche quello di offrire un’alternativa ai mutamenti portati dalla digitalizzazione e dalla pandemia, un ambiente dunque dove riscoprire la fisicità e le relazioni interpersonali dal vivo.
«Per questo dovrebbe diventare sempre più “tattile”, di proporzioni a misura di studente, dovrebbe diventare una vera e propria esperienza l’architettura – aggiunge –. Gli studenti dovrebbero riuscire a concepire la scuola come una seconda casa, come anche gli insegnanti. Uno spazio che è fuori casa ma che con essa ha stretti rapporti».
Prima donna spagnola ad aver vinto il Premio d’architettura Brunner Memorial Prize nel 2022 e il Premio Nazionale di Architettura nel 1995 e nel 2021, Carme Pinós non inizia mai un progetto prima di aver studiato ogni angolo dell’area di intervento, convinta della possibilità dell’architettura di ritagliarsi una spazio dinamico procedendo tanto per continuità e per rispetto della preesistenza, quanto per contrasto e per opposti. È così che è nata anche la scuola di arte e design Massana di Barcellona, realizzata nel cuore del centro storico e della piazza Gardunya con il suo mercato, ma procedendo al contrario rispetto alla conformazione della Piazza Reale che guarda a sè stessa. «Un architetto non deve appropriarsi con prepotenza di una porzione di territorio – sottolinea – ma deve inserirvisi con dinamismo» e discrezione. Ne sono un esempio emblematico i piani a incastro di questa scuola che creano livelli sfalsati e linee segmentate, ma anche le finestre disallineate da un piano all’altro a rendere ancora più movimentata la facciata e meno massiccia.
Ciò che un architetto, a suo avviso, dovrebbe tenere sempre a mente è la natura stessa dell’architettura, «riflesso della cultura e viceversa. La pandemia in questo senso ha giocato un ruolo di rivalutazione – aggiunge Pinós –, ricordando come il mercato non possa andare contro la vita delle persone e schiacciare le sue necessità. Una riflessione che ha dunque messo in evidenza il dispotismo del mercato, al quale non è pensabile lasciare totale potere sopra la gestione delle città: al contrario queste devono essere in tutto e per tutto luoghi di socialità e di relazioni. Essere architetto vuol dire conoscere bene la responsabilità nei confronti della contemporaneità, ma questo non significa solo risolvere i problemi più o meno contingenti, significa anche dare dignità all’essere umano. In questo senso la buona architettura non ha né passato, né solo presente, né solo futuro; è un condensato dell’essenza dell’uomo e dello spazio».
Frenare la speculazione, allo stesso tempo, è a suo parere la risposta al cambiamento climatico:
«Un architetto che sta dietro alla speculazione ne diventa in qualche misura complice. Bisogna essere sensibili alla sostenibilità, ai materiali più adatti, alla sperimentazione, ma come tutti anche gli architetti dovrebbero farsi guidare dal buonsenso, anche se questo comporta più fatica. Non si può pretendere di avere tutto e subito con facilità: c’è bisogno di fatica e dialogo con la natura, con il sole e con il vento». Uscire dall’individualità e sentirsi parte di un tutto.
«Un buon edificio scolastico deve essere in grado di interpretare l’essenza stessa dell’insegnamento, facendosi carico di trasmettere il senso dell’educazione oggi ma anche alle generazioni dei dieci anni successivi». È questo il rapporto, secondo Dorte Kristensen, tra architettura ed educazione, esplicitato anche nella scuola superiore Lumion di Amsterdam, realizzata a partire da un recupero, riuso adattivo e ampliamento della scuola secondaria MTS progettata nel 1973 dall’architetto B.J. Ingwersen. «Un perfetto esempio di quel ruolo dell’architetto di interpretazione delle necessità del presente per poi proiettarle nel futuro». Nel ridisegnarne gli spazi la mente è andata alle potenziali esigente del domani a partire da quelle dell’oggi, così da ottenere spazi ampi e luminosi, colorati e confortevoli, variegati e mai ripetitivi. Il cuore del progetto può essere riconosciuto come quel nuovo e immenso atrio creato dall’intersezione di vecchio e nuovo, ma gli interni firmati dal suo Atelier PRO architects rispecchiano la volontà di personalizzazione dei percorsi scolastici dei singoli studenti.
È quasi la scuola a creare un nuovo villaggio, rinnovando il ruolo dell’architettura nell’instaurare un rapporto virtuoso con l’ambiente circostante. La scuola Lumijoki in Finlandia di Virve Väisänen e del suo studio Luo architects, è una struttura contemporanea sostenibile e in armonia con la natura e con il contesto urbano circostante, quasi completamente in legno per tutte le parti possibili. Ma alla base vi è la tradizione del Paese scandinavo, portando all’uso di materiali igroscopici e di pannelli in legno, nonché a un comfort climatico ottimale; ma il suo fulcro è proprio il cortile centrale protetto. Soluzioni costruttive, approccio, materiali e un’architettura rispettosa dell’intorno sono parte integrante di un messaggio educativo da trasmettere agli studenti. Ed è il luogo, si è tenuto a sottolineare, da dove partire a promuovere effettivamente anche la parità di genere.
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Il contributo delle donne nell’architettura contemporanea. Progetti per l'educazione e la cultura nel mondo
Luogo: Milano
Date: 8 marzo-30 marzo
Studi partecipanti alla mostra:
Australia: Kennedy Nolan;
Emirati Arabi Uniti: Dabbagh Architects;
Finlandia: Luo architects;
Giappone: Tezuka Architects;
Messico: Tatiana Bilbao Estudio;
Paesi Bassi: Atelier PRO architects;
Perù: Llosa Cortegana Arquitectos;
Spagna: Estudio Carme Pinós;
Stati Uniti d'America: Deborah Berke Partners;
Sud Africa: Lemon Pebble Architects and Urban Designers;
Svizzera: dl-a, designlab-architecture sa;
Turchia: Uygur Architects