Cosa rappresenta la responsabilità in un progetto di architettura? Qual è il ruolo degli architetti nella società liquida del nostro tempo? Quale la relazione tra i luoghi del vivere e i luoghi del lavorare nel post-Covid?
Sono questi alcuni dei temi intorno ai quali si è svolto il Café della Stampa organizzato da THE PLAN al Cersaie 2022, dal titolo I materiali dell'architettura: il progetto come scelta responsabile, nel corso del quale Nicola Leonardi, cofondatore e direttore di THE PLAN, ha intervistato Susanna Tradati, associate partner di Studio Nemesi, e Stefano Gri, cofondatore di GEZA Architettura.
Questo Café della stampa è dedicato al tema I materiali dell’architettura: il progetto come scelta responsabile. Cosa rappresenta per voi la responsabilità in un progetto di architettura?
S.T.: La qualità del progetto deriva dal corretto utilizzo di tutti gli strumenti che lo caratterizzano dal punto di vista tecnico, in primis i materiali e le tecnologie. Sostenibilità significa mettere a sistema diversi aspetti, che concorrono a definire il linguaggio progettuale e la performance complessiva: in questo senso, la responsabilità del coordinamento tra le diverse istanze è in capo all’architetto. La nostra professione oggi è diventata più complessa rispetto a un tempo, ma anche più stimolante.
S.G.: Concordo appieno. La nostra figura professionale sta diventando sempre più centrale, perché gli architetti si occupano non soltanto degli aspetti tecnici e logistici del progetto, ma anche e soprattutto della bellezza. Siamo i registi del processo: abbiamo l’enorme responsabilità di trasformare l’idea del committente in un oggetto di architettura.
Stiamo vivendo un momento storico particolarissimo: negli ultimi tre anni abbiamo sperimentato una sequenza di “cigni neri”, come direbbe Nassim Taleb: la pandemia, la Brexit, la guerra, lo shortage di materie prime, la crisi energetica. Tutto questo come sta impattando sull’architettura e sul vostro lavoro?
S.T.: Rispondo con un altro saggio di Nassim Taleb: L’antifragile, nel quale si racconta la capacità di reagire alle situazioni costruendo degli anticorpi che ci permettono di adeguarci ai cambiamenti. La crisi che viviamo oggi non è solo ambientale ed economica, ma riguarda anche il pensiero. In riferimento all’epoca attuale, Zygmunt Bauman parla di vita liquida, caratterizzata cioè da una fisionomia sempre più effimera e incerta, per cui ci sono due strade: modernizzarsi o soccombere. Come architetti siamo chiamati a interrogarci su questi temi e a proporre delle soluzioni, non ragionando soltanto sull’emergenza, ma elaborando una visione a medio e lungo termine del nostro territorio e delle nostre città.
S.G.: Aggiungo un altro cigno nero alla lista: si sta ampliando sempre di più la forbice tra architetti e committenti illuminati da un lato e un Paese abbandonato a se stesso dall’altro. Credo che sostenibilità e responsabilità siano le due parole chiave di un cambiamento che deve avvenire, portando il dialogo tra il mondo dell’architettura e quello della politica a un livello molto più alto rispetto a quello attuale.
Nel vostro percorso professionale, entrambi siete passati dal tema delle residenze a quello delle sedi aziendali: dai luoghi del vivere ai luoghi del lavorare, con un evidente cambio di scala. Come è evoluto di conseguenza il vostro approccio progettuale?
S.T.: A seguito dell’introduzione massiva dello smart working durante la pandemia, per il futuro si è parlato di un cambiamento dei luoghi di lavoro verso questa direzione. In realtà, il lavoro da remoto è una modalità non attuabile nel lungo termine per la grande maggioranza delle aziende. Oggi però ci sono dei presupposti per tornare in ufficio e in fabbrica rendendo più vivibili e meno alienanti questi luoghi. È con questa logica che abbiamo pensato il Digital Innovation Hub dalla società Tesisquare a Cherasco, nel territorio delle Langhe e del Roero: una sede aziendale e un campus innovativo per start up e imprese, che abbiamo quindi disegnato come un “borgo collaborativo”.
S.G.: Riprendendo il concetto di liquidità, il nostro obiettivo è sempre stato assicurare la qualità della vita delle persone, mettendo l’essere umano al centro del progetto e portando alcuni aspetti dell’ambiente domestico in quello lavorativo e viceversa. In questo quadro, il trait d’union tra casa e industria è rappresentato dal disegno del verde, dal legame tra costruito e paesaggio e dalla luce, con grandi finestre che aprono un dialogo tra spazi esterni e interni. Tutti questi aspetti si ritrovano, ad esempio, nel progetto per gli headquarter di Furla a Tavarnelle Val di Pesa, nel Chianti: un luogo che riunisce fabbrica e uffici, dove tutti gli ambienti di lavoro mantengono un contatto visivo con il paesaggio circostante.
L’architettura possiede la capacità di essere generatrice o rigeneratrice di socialità e di qualità urbana e infra-urbana, anche in contesti diffusi come i piccoli borghi e le campagne. Chiedo quindi a Stefano di approfondire il progetto per la sede di Furla a Tavarnelle Val di Pesa, che è già stata citata, e a Susanna di raccontarci gli headquarter di Eni a San Donato Milanese.
S.T.: San Donato Milanese è il luogo dove negli anni Cinquanta Enrico Mattei aveva immaginato Metanopoli, ispirandosi a quello che rappresentava Ivrea per la Olivetti. Le prime torri che furono costruite nell’area, progettate tra gli altri da Marco Bacigalupo e Ugo Ratti, erano monoblocchi autoreferenti, che furono poi scardinati nella loro tipologia dall’intervento di Gabetti e Isola con il Quinto Palazzo SNAM, il famoso edificio circolare a gradoni coperti da giardini pensili. Il nostro progetto per la sede di Eni – il cui cantiere dovrebbe concludersi tra pochi mesi – continua questa evoluzione, proponendo una forma liquida che è anche una metafora della trasformazione dell’energia da materia a qualcosa di immateriale. La dimensione verticale della torre per uffici, incapace di creare contesto, viene quindi ribaltata in una dimensione orizzontale, più aperta al paesaggio e in grado di costruire urbanità tramite la piazza centrale.
S.G.: La sede di Furla nel Chianti (completata l’anno scorso, ndr) si trova immersa in uno dei paesaggi più belli d’Italia, ma è anche inserita all’interno di un’area industriale dismessa, risalente agli anni Sessanta, in gran parte costituita da capannoni fatiscenti. Un’ulteriore sfida che abbiamo affrontato in questo progetto, dal punto di vista tecnico, è legata alla morfologia del terreno, che presenta una forte pendenza: da una parte all’altra del complesso produttivo, ci sono 30 m di dislivello. Abbiamo lavorato con rigore per disegnare un luogo di lavoro a misura d’uomo, creando un sistema di patii verdi e tetti giardino e utilizzando pochi materiali che dialogano tra loro in armonia.
A proposito del tema dei materiali, che rappresenta il filo conduttore di questo incontro, vorrei chiedervi quali sono i vostri preferiti, se ne avete. Ogni progetto è un’occasione per intraprendere una nuova ricerca sui materiali oppure si inserisce all’interno di un percorso di continuità e trasformazione?
S.T.: Nella storia di Nemesi è presente l’utilizzo, in termini sia espressivi sia strutturali, sia del cemento sia dell’acciaio, anche con strutture miste e prefabbricate, laddove prefabbricazione non significa per forza standardizzazione, ma anzi può diventare personalizzazione. Nel progetto per Palazzo Italia a Milano Expo 2015, ad esempio, abbiamo lavorato con un calcestruzzo definito “biodinamico”, che unisce alla resistenza meccanica un’elevata duttilità. In questo modo, abbiamo potuto comporre la facciata con centinaia di pannelli tutti diversi tra loro.
S.G.: Noi di GEZA siamo innamorati da sempre del calcestruzzo, che abbiamo studiato e utilizzato nelle sue forme più svariate, perché secondo noi è il materiale di questo mondo, a dispetto delle ideologie che accostano al cemento una connotazione agli antipodi rispetto alla sostenibilità. Noi siamo di Udine: nel territorio friulano le montagne sono molto vicine al mare, con un dislivello tale per cui i fiumi sono molto veloci e trascinano con sé tonnellate di frammenti di rocce diverse: dolomie, calcari, graniti… Il tema dei materiali è molto affascinante e noi ci interroghiamo in proposito ogni giorno nell’attività del nostro studio.
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