«Il futuro non è un punto di arrivo o un’utopia, né corrisponde a una linea di progresso, sviluppo o evoluzione, ma ha la forma di un campo: un campo di contingenze, esperienze e situazioni». Come spiega il curatore Gonzalo Carrasco, architetto e docente alla Pontificia università cattolica del Cile, è questa la visione che ha ispirato il Padiglione del Cile alla Biennale Architettura di Venezia 2023, allestito all’Arsenale e intitolato Ecologie in movimento.
Il progetto, elaborato insieme a Loreto Lyon e Alejandro Beals – titolari dello studio di progettazione Beals Lyon Arquitectos – con la direzione artistica di Belén Salvatierra, è incentrato su un’installazione che espone una collezione di 250 piccole sfere che custodiscono altrettante semenze. Si tratta delle specie vegetali utilizzate dagli architetti cileni per affrontare le principali sfide del futuro, che ruotano intorno alla protezione e al ripristino ecologico delle città e dei paesaggi naturali.
L’idea per il padiglione cileno è nata dal titolo stesso della 18a Mostra Internazionale di Architettura, curata da Leslie Lokko: Laboratorio del Futuro. «In seguito al processo costituente dello scorso anno – racconta Carrasco – non riuscivo a immaginare il futuro, non solo dell’umanità, ma anche degli altri esseri viventi che popolano la Terra. Allora ho pensato che, dopo l’indipendenza del Cile, proclamata nel 1818, il futuro del Paese è stato immaginato anche a partire dal lavoro di catalogazione della flora autoctona condotto dal botanico italiano Luigi Sada di Carlo».
Come allora, nel Parco della Quinta Normal a Santiago del Cile, l’architettura e la scienza permisero di immaginare, attraverso un giardino di acclimatazione, il futuro di un Paese che stava entrando nell’epoca moderna, così oggi si può ripartire dalla natura per affrontare i cambiamenti climatici in atto. Anche perché in Cile sono presenti piante che, nel corso del tempo, hanno saputo adattarsi a un clima arido, e che ora potrebbero essere riproposte altrove, visto il tema del surriscaldamento globale.
La mostra Ecologías en movimiento contiene tre campi: un campo di contingenze, un campo di esperienze e un campo di situazioni. Il primo è rappresentato da un lungo tavolo su cui sono raccontati 173 anni di eventi ecologici in Cile: le catastrofi naturali, gli incendi forestali, i danni prodotti da un modello produttivo basato sull’estrazione mineraria; parallelamente, vengono illustrati 14 progetti paesaggistici sul territorio, che utilizzano specie che colonizzano suoli altamente degradati, sono in grado di migliorare lo stato di suoli contaminati, migliorano la qualità della vita urbana, ripristinano gli ecosistemi dopo catastrofi naturali e gli incendi di origine antropica.
Il campo di esperienze, invece, mette in mostra 250 sferette di vetro, che contengono i semi di specie endemiche e native, conservati nelle delle frigorifere della Banca del Germoplasma Vegetale INIA Intihuasi di Vicuña, incapsulati all’interno di un involucro in resina. Ogni sfera è sostenuta da uno stelo metallico, all’interno del quale è alloggiata la luce LED che va a illuminare la sfera stessa e il suo contenuto.
Infine, è presente un campo di situazioni, che fa riferimento al concetto di "situazione" introdotto nel Settecento dal teorico inglese Robert Morris nelle sue Lectures on Architecture, legato alla capacità evocativa di un'architettura o di un paesaggio naturale. Così, attraverso una registrazione di suoni naturali raccolti nei dintorni della città di Puerto Varas (il ronzio degli insetti, i versi degli uccelli, lo scorrere di un rivolo d'acqua...) si comprendono i processi di propagazione delle specie attraverso lo spazio.
Ecologie in movimento è una mostra delicata ma potente, che unisce arte, architettura, botanica e filosofia. Fin dall’inaugurazione della Biennale, il Padiglione del Cile è stato uno dei più fotografati e apprezzati di questa edizione. Il Paese sudamericano è stato tra gli ultimi che hanno confermato la propria partecipazione alla 18a Mostra Internazionale di Architettura, e i curatori hanno avuto a disposizione soltanto una manciata di settimane per realizzare l’allestimento. Un risultato che è stato possibile raggiungere grazie all’attività di studio e di ricerca sul tema, a cui Carrasco si dedicava già da tempo. Ora, il suo sogno è che l’esposizione, al termine della Biennale, possa venire riproposta al Museo Nacional de Historia Natural all’interno del Parco della Quinta Normal.
Photography by Belén Salvatierra, courtesy of the author