«Rem Koolhaas, nel ruolo di curatore della Biennale di Architettura di Venezia del 2014, dichiarò ufficialmente questa di Antonioni e Vitti essere una delle più significative espressioni di architettura residenziale degli ultimi 100 anni». Lo racconta Dante Bini, il progettista della Cupola di Michelangelo Antonioni e Monica Vitti in Sardegna, che l'architetto modenese Lucio Fontana ha descritto come «una luna di cemento, magnifica e leopardiana, abbandonata sulle rive scoscese in Costa Paradiso». Realizzata a cavallo del 1970, la casa è la più nota delle oltre 1.500 strutture semisferiche in cemento armato costruite in tutto il mondo con il sistema Binishell, che prevede l’utilizzo di una cassaforma pneumatica dinamica per abbattere tempi e costi del cantiere.
Pur essendo vincolata dalla Sovrintendenza di Sassari, la villa di Vitti e Antonioni, su cui di recente si sono riaccesi i riflettori per via della scomparsa dell’attrice, versa oggi in stato di abbandono e incuria. “De Rebus Sardois”, la piattaforma dedicata all’arte e all’architettura sarde, ha quindi lanciato una petizione online per riqualificare e valorizzare l’immobile, trasformandolo ad esempio in uno spazio espositivo. A questa iniziativa si affianca la candidatura della Cupola nel Censimento dei Luoghi del Cuore del FAI – Fondo Ambiente Italiano. Pur essendo l’opera più conosciuta di Dante Bini, questa residenza rappresenta però soltanto un tassello della sua vulcanica attività professionale e di ricerca, nel settore dell’architettura e non solo.
Dante Bini, nato il 22 aprile 1932 a Castelfranco Emilia, nel territorio di Modena, e laureato in Architettura all’Università di Firenze, si definisce «un pioniere nei sistemi di costruzione di edifici automatizzati, ottenibili utilizzando la fisica applicata e la robotica». Un tema molto tecnico e al tempo stesso di ampio respiro, a cui Bini ha dedicato il libro Building with air. All’inizio del volume, una citazione dello scrittore George Bernard Shaw racchiude in sé la concezione progettuale visionaria dell’architetto: «Alcuni uomini vedono le cose per come sono e chiedono: perché? Io oso sognare cose che non sono mai state e dico: perché no?». Questa impostazione futuristica, alimentata da una curiosità instancabile, ha portato Bini a realizzare tantissime collaborazioni accademiche e professionali a livello internazionale, lavorando negli Stati Uniti, nell’ex Unione Sovietica e in Australia, spaziando tra numerosi campi di interesse, dagli studi su nuovi sistemi e materiali in edilizia fino alle ricerche spaziali.
«Con una minima pressione, ho pensato, si sarebbero potute sollevare tonnellate di calcestruzzo distribuito su una grande membrana opportunamente ancorata a una fondazione di base». L’idea per il sistema Binishell è nata una sera dell’inverno del 1963, durante una partita di tennis con un amico all’interno di una struttura pressostatica ai Giardini Margherita di Bologna. Questo metodo di costruzione, innovativo oggi come allora, permette di realizzare strutture a guscio in cemento armato – monolitiche, a base circolare e a sezione ellittica, con dimensioni da 12 a 40 metri di diametro – in soltanto una o due ore di tempo. Un’intuizione che scaturisce da un approccio filosofico all’architettura.
«La filosofia e l’architettura – spiega Dante Bini – come tutte le espressioni più significative della creatività dell'uomo, hanno la stessa matrice: il pensiero. Il pensiero è alimentato dalla curiosità di analizzare profondamente la realtà che ci circonda: la natura. Ecco, se sappiamo leggerla e interpretarla, la natura ci insegna tutto».
Da dove arriva l’idea di sviluppare un processo completo di autocostruzione? Secondo l’architetto, dalla necessità di trasformare la Scienza delle Costruzioni adeguando formule, materiali e sistemi costruttivi alle sfide legate alle variazioni dell’ecosistema globale. È con questo obiettivo che Bini, alla fine degli anni Ottanta, ha inventato “Pak-Home”, un sistema di costruzione di abitazioni a basso costo, prodotte in serie e a prova di terremoto e alluvione.
«Ho l’audacia e la presunzione di affermare che l’attuale Scienza delle Costruzioni è superata, così come sono superati i regolamenti dalla quale deriva. Se si considera che l’industria delle costruzioni è fra le più inquinanti al mondo e che, degli otto miliardi della popolazione del globo, la metà non dispone di una casa salubre, sicura e gradevole per crescere una famiglia, ci si rende subito conto che non siamo su una strada percorribile per il prossimo futuro. Rapidità costruttiva, automatismi in cantiere e progetti che utilizzino disegni completamente diversi e capaci di rispondere alle presenti necessità di abitazione sono imperativi che non possiamo ignorare».
L’esperienza di Dante Bini nel settore della cosiddetta meccatronica edile arriva fino al progetto di basi lunari automodellanti, che sperimentano l’uso dell’aria compressa nel vuoto. Uno di questi progetti spaziali è Lunit, elaborato per l’impresa di costruzioni Shimizu Corporation e presentato al 43° Congresso della Federazione Internazionale di Astronautica, a Washington nel 1992. Questa collaborazione con la società giapponese è stata poi seguita da altri progetti, come la Shimizu TRY 2004 Mega-City Pyramid per Tokyo, una struttura multifunzionale alta duemila metri e in grado di accogliere un milione di persone. Un’altra città del futuro progettata da Dante Bini è Tower City, infrastruttura a costruzione semi-automatica per una città di 600mila abitanti, alta 1.600 metri. Infine, c’è la Future Vision of Kyoto for the 21st Century, una città che abbraccia la luce del Sole, dotata di un simbolico gigantesco specchio rotante in rame che durante il giorno riflette in diverse direzioni la luce solare in una sequenza annuale continua.
«In ognuno di questi progetti si intendeva realizzare innanzitutto infrastrutture cittadine prodotte con fabbriche mobili, automatismi e robotica di cantiere. Una volta realizzata l’infrastruttura completa di percorsi pedonali, percorsi meccanizzati con ferrovie interne, distribuzione delle acque, del gas e fognature, si sarebbero prodotte superfici da costruzione disponibili per i singoli abitanti per dotarli delle loro abitazioni, dei loro giardini dei loro parcheggi eccetera».
In 60 anni di attività, Dante Bini ha progettato innumerevoli strutture spaziali e sistemi di costruzione terrestri ed extra-terrestri, ma della Cupola in Sardegna, da tutti considerata il suo capolavoro, dice soltanto: «Io personalmente la considero solo una fortunata, incredibile e irripetibile collaborazione fra uno straordinario cliente come Antonioni e il suo architetto».
Photography courtesy of Dante Bini