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Cosa vedere alla Biennale Architettura 2023

L'edizione curata da Lesley Lokko punta i fari sull’Africa, sul cambiamento climatico e sulla sostenibilità, con un linguaggio artistico e accademico

Cosa vedere alla Biennale Architettura 2023
Scritto da Redazione The Plan -

Come ognuna delle precedenti edizioni della Biennale di Venezia, anche la 18. Mostra Interazionale di Architettura, visitabile fino al 26 novembre ai Giardini e all'Arsenale, si è trasformata in un polo attrattivo globale professionisti e appassionati del settore. Un’occasione di riflessione, di scambio e di conoscenza. Un momento zero in cui scattare un'istantanea sulla contemporaneità, in vista di un futuro prossimo.

Alla vigilia, questa edizione curata da Lesley Lokko, dal titolo Il laboratorio del futuro, si annunciava virtualmente rivoluzionaria. Un po’ per le tematiche ricercate, un po’ per quel baricentro narrativo che si è spostato sul continente africano, spesso relegato a spazi secondari nella rassegna. Molti gli argomenti trattati, su cui i visitatori sono chiamati a riflettere e confrontarsi: dalla decolonizzazione alla parità di genere, dal senso di comunità al diritto alla terra, passando per il cambiamento climatico e la sostenibilità. Insomma, temi di grande attualità che necessitano di un coinvolgimento mondiale.

Tuttavia, non sono mancate le critiche, una su tutte quella di Patrik Schumacher, direttore di Zaha Hadid Architects, che ha sottolineato come in questa edizione manchi l’architettura stessa. Alle sue parole fa eco anche il giudizio espresso da Luigi Prestinenza Puglisi, che scrive sul suo profilo Facebook: «L’aspetto positivo di questa Biennale è che ci dice che si può fare architettura con tutto (lo sapevamo dagli anni Sessanta, ma è sempre bene ripeterlo). L’aspetto negativo è che ha paura di prendere atto di una idea così radicale, cadendo in un generico radicalismo ambientalista. E difatti non si vede (o quasi) un progetto. Si dice che per la prima volta mancano le archistar. Benissimo, ma mancano pure i giovani architetti e la nuova architettura».

Everlasting Plastics - Padiglione degli Stati Uniti - Norman Teague, Re+Prise Photo by ReportArch / Andrea Ferro Photography, courtesy SPACES

 

I temi al centro del Laboratorio del Futuro

Con la diciottesima Biennale di Architettura, Laboratorio del Futuro, la curatrice Lesley Lokko plasma quello che potrebbe essere definito un manifesto politico-artistico, in cui il suo continente di origine, l’Africa, diviene il soggetto della narrazione. Suddivisa in sei parti, la mostra raccoglie il lavoro di 89 partecipanti, la maggior parte proveniente dall’Africa o dalla diaspora africana.

La prima parola chiave di questa Biennale è “immigrazione”: essa è in grado di attivare dei processi creativi, mai realizzati prima. Quindi “decolonizzazione”, in quanto il continente africano è ancora legato al nord del mondo, seppur molte nazioni siano indipendenti da alcuni decenni.

Da segnalare Looty, un progetto Made in Nigeria che ha lo scopo di trasformare in NFT le opere d’arte trafugate durante il colonialismo: ogni oggetto viene ricreato tridimensionalmente e messo sulla blockchain. Una procedura di restituzione digitale, la prima di questo genere, che permette a chiunque di accedere a questi beni culturali trafugati.

Da non perdere nemmeno la piccola esposizione che illustra il lavoro di Baba Demas Nwoko, Leone d’Oro alla carriera, allestita nel Padiglione Stirling ai Giardini.

Terra [Earth] - Padiglione del Brasile Photo by Matteo de Mayda, courtesy La Biennale di Venezia


E ancora, tornando ai temi al centro della Biennale di Venezia 2023, “decarbonizzazione”, per indicare quei processi che guardano alla sostenibilità ambientale, soprattutto nel continente africano, ideale per la generazione di energia rinnovabile. La stessa Biennale si è impegnata nella riduzione dell’impronta ecologica: le brochure e le mappe possono essere consultate solo digitalmente. 

A questi vocaboli se ne aggiungono altri, come gender equality: a tal proposito la diciottesima edizione registra un equilibrio di genere quasi paritario. Ultima nota è l’età degli 89 partecipanti coinvolti: una media di 43 anni, col più giovane espositore di 24 anni.

Mancano i grandi nomi dell'architettura: ci si sarebbe potuti aspettare un coinvolgimento, ad esempio, del Premio Pritzker Diébédo Francis Kéré. L’unica firma importante resta invece quella di David Adjaye, che ha progettato "The Kwaeε", parola che in twi, una delle lingue principali del Ghana, può essere tradotto con "foresta". L'installazione, situata subito fuori dall'Arsenale, che consiste in un grande prisma triangolare di colore nero, realizzato interamente in legno: un luogo che può ospitare conferenze, tavole rotonde e rappresentazioni, ma anche uno spazio per esperienze di ascolto d’archivio.

 

I padiglioni da vedere alla Biennale di Architettura 2023
 

Everlasting Plastics - Padiglione degli USA

Una mostra che affronta l’emergenza dei rifiuti plastici attraverso una serie di opere realizzate da artisti e designer. Le loro creazioni mettono in luce il modo in cui la plastica caratterizza la nostra quotidianità e la grande difficoltà a separarsi da questo materiale, per fini ecologici.

Curato da Tizziana Baldenebro, direttrice di SPACES (associazione non profit di Cleveland attiva nel mondo dell'arte), insieme a Lauren Leving, curatore del Museo di Arte Contemporanea di Cleveland, il padiglione invita a una riflessione sulla convivenza fra uomo e plastica, senza giudizi etici, cercando di convertire il materiale in un possibile agente di cambiamento.

Archinfusion - Padiglione del Niger Photo by Luca Casonato, courtesy of the author


Archinfusion - Padiglione della Repubblica del Niger

Curato da Boris Brollo, il padiglione della Repubblica del Niger è andato sviluppandosi intorno a un concetto: l’eclettismo. È infatti dalla mescolanza e dall’armonizzazione di due culture tanto diverse come quella africana e quella occidentale che ha via via preso forma, dando luogo al suo interno a un laboratorio culturale dove una tradizione è al servizio dell’altra per crearne una diversa, la quale a sua volta ha dato il nome al padiglione stesso. Archifusion, ovvero fusione in architettura. Il senso di collaborazione tipico di una bottega-laboratorio è dunque amplificato per puntare a un obiettivo comune, porre per esempio le tecnologie al servizio della salvaguardia della bellezza e della storia architettonica del Niger senza svilirne l’autenticità estetica.

Da tale processo è nato “Brique Magique”, un mattone che può essere confezionato sempre in terra cruda, ma con fori interni e una forma diversa. Queste modifiche, seppur minime, conferiscono al mattone nuove caratteristiche, con la possibilità, per citare un caso, di eseguire murature di maggior spessore a parità di materiale utilizzato.

 

Spaziale - Padiglione Italia

Il titolo esteso è Spaziale. Ognuno appartiene  tutti gli altri. Pensato dal collettivo Fosbury Architecture, il padiglione racchiude al suo interno il lavoro di nove piccoli studi di architettura sparsi sulla penisola italiana, chiamati a lavorare sul tema dell’incompiuto in nove interventi site-specific.

Ciò che rende questo padiglione “speciale” è un insieme di fattori: la giovane età del collettivo e degli studi coinvolti, la ricomposizione concettuale della penisola italiana attraverso i progetti, il tema dell’incompiuto. E potremmo aggiungere anche quel senso di “vuoto” che si ha nel padiglione stesso. Un vuoto che apre a molti interrogativi, ma al contempo permette di essere concentrati sul messaggio.

 

Terra [Earth] - Padiglione del Brasile

Vincitore del Leone d’Oro per la miglior Partecipazione Nazionale, il padiglione del Brasile gioca sulla parola “Terra”, intesa sia come elemento tangibile, sia come richiamo poetico a un luogo identitario, ossia quello che potrebbe essere definito come “territorio”.

La mostra non si limita ad artisti individuali ma mette insieme opere prodotte dalle comunità indigene, riflettendo sull’uso sociale dello spazio e della conoscenza tramandata. Il risultato è un padiglione in cui design e architettura si mescolano alle tradizioni delle comunità: una possibile risposta per il futuro.

Dancing Before the Moon - Padiglione della Gran Bretagna Photo by Marco Zorzanello, courtesy La Biennale di Venezia


Dancing Before the Moon - Padiglione della Gran Bretagna

Una mostra che ha ricevuto un grande apprezzamento per la sua narrazione. La domanda è chiara: come le comunità diasporiche riescono a mantenere la connessione con la propria terra di origine? La risposta è attraverso una ritualità quotidiana, fatta di danza, cucina, tradizioni. Ed è proprio da questo concetto che si sviluppa la mostra, fatta di opere di artigianato che nell’insieme tracciano una visione comune sull’entità di chi ha lasciato la propria terra.

 

Moving Ecologies - Padiglione del Cile

Nell’alchimia la sfera di cristallo rappresenta un elemento in grado di fornire una possibile visione del futuro. L’associazione fra 250 sfere di vetro e la parola “futuro” danno vita all’installazione Moving Ecologies, nel padiglione del Cile.

Si tratta di un inventario di 250 piccole sfere ognuna contenente il seme di una pianta endemica del Paese sudamericano, in grado di ripristinare gli ecosistemi, di migliorare la qualità dell’aria nelle nostre città, di rigenerare suoli. Il messaggio è chiaro: il futuro è da ricercare nel ritorno alle radici, nel recupero di una connessione con la natura. Un padiglione suggestivo, anch’esso concettuale.

IRTH إرث - Padiglione dell'Arabia Saudita © Venice Documentation Project, courtesy of Ministry of Culture


IRTH إرث - Padiglione dell'Arabia Saudita

Il progetto IRTH إرث (che in arabo significa “eredità”) propone un’esplorazione sensoriale e interattiva dell’architettura tradizionale saudita, a partire proprio dal suo elemento costitutivo: la terra. Il padiglione esamina il rapporto simbiotico tra materiale e immateriale, tracciando una linea che lega passato e futuro.

La mostra è stata curata delle due sorelle Basma e Noura Bouzo, co-fondatrici di &bouqu (società di consulenza creativa e culturale). L'allestimento, progettato dall’architetto AlBara Saimaldahar, managing partner dello studio di design Dahr, valorizza l'essenza dell'artigianato saudita con elaborati manufatti, e riprende i motivi tradizionali di Al-Balad, la città vecchia di Jeddah, trasformandoli in forme fluide.

 

Unbuild Together: Archaism vs. Modernity - Padiglione dell’Uzbekistan

Alcuni padiglioni sanno trasportarti e farti entrare in una loro dimensione narrativa, alle volte difficile da comprendere, ma stimolante. È il caso del padiglione dell’Uzbekistan in cui entrano in gioco pochi elementi, ben mescolati fra loro. Uno storytelling visivo fatto di tradizione, matericità e luce.

Tradizione in quanto il padiglione ricrea una tipica fortezza della regione di Karakalpakstan, matericità per via del labirinto in mattoni su cui si stagliano inerti ceramici, e infine la luce che mette in risalto il soggetto ed estranea l’installazione dal buio del contesto.

In Vivo - Padiglione del Belgio Photo by Matteo de Mayda, courtesy La Biennale di Venezia


In Vivo - Padiglione del Belgio

Il Belgio propone una mostra minimalista in cui l’arte e l’architettura si pongono su uno stesso livello narrativo. La mostra In Vivo, curata da Bento Architecture, si concentra sull’uso di materie vive in architettura, in particolar modo del micelio, vale a dire la parte vegetativa dei funghi. Essa è stata utilizzata negli ultimi anni nell’architettura ecologica, per via delle ridotte emissioni, per l’economicità e per la reperibilità.

Un padiglione difficile da capire nella sua interezza, in cui poter scoprire questo materiale innovativo che nel giro di poco potrebbe rivoluzionare l’architettura.

 

Before the Future - Padiglione dell’Ucraina

Oltre 400 giorni di conflitto armato che hanno trasformato l’Ucraina in un grande campo di battaglia: l'installazione porta con sé il lutto della guerra, rappresentato dal nero dei drappi che ricoprono la stanza. Formano spazi angusti, claustrofobici e bui, in cui si rischia di inciampare sulle pieghe. Come in guerra, come in uno spazio in cui il racconto si mescola alla paura. 

 

Renewal: a symbiotic narrative - Padiglione della Repubblica Popolare Cinese

Il padiglione ripercorre gli ultimi quarant’anni dell’architettura e dell’urbanistica in Cina e lo fa attraverso una serie di plastici in cui il protagonista è il rinnovamento urbano e rurale. Si possono osservare e analizzare gli esperimenti sulla vivibilità in ambienti ad alta densità.

Il padiglione lascia con una serie di domande sul futuro: quali saranno le risposte delle città ai cambiamenti e alle necessità del domani?

Architecture, a place to be loved - Padiglione del Giappone Photo by Matteo de Mayda, courtesy La Biennale di Venezia


Architecture, a place to be loved - Padiglione del Giappone

Nonostante la pandemia abbia messo in luce l’importanza della coesistenza, le città del dopo 2020 continuano a svilupparsi in maniera del tutto impersonale. Occorre porsi una domanda: abbiamo ragione di credere che l’architettura sia amata oggi?

La risposta ce la dà il Giappone, nel suo padiglione progettato da Takamasa Yoshizaka, allievo di Le Corbusier. Nella parte superiore dello stesso c’è il cuore della mostra, che mette insieme progetti, fotografie e plastici. Nella parte inferiore, uno spazio interattivo in cui i visitatori possono dilettarsi nella creazione di moodboard, grazie alle fotografie, alle foglie, ai colori messi a disposizione. Il risultato è un collage eterogeneo, personale, in cui ognuno prova a trasformare il suo amore verso l’architettura in un manifesto.

 

Home Stage - Padiglione dell’Estonia

Le città sono in continua mutazione e le case riflettono questo cambiamento. Diventano luoghi di scambio dello spazio abitativo, luoghi usa e getta che perdono la propria identità.

L’Estonia scatta un’istantanea e ambienta in un appartamento veneziano, preso in affitto, una casa-palcoscenico in cui andrà di scena la vita quotidiana. I protagonisti saranno una serie di artisti estoni che trascorreranno, individualmente, un soggiorno nell’appartamento.

Alterneranno performance - della durata di un'ora e mezza - a vita reale, interagendo col pubblico. Un grande fratello dalla visione evoluta, pieno di domande e dalle risposte personali. Certamente il padiglione più particolare di tutti.

 

T/C Latvija - Padiglione della Lettonia

Può un’architettura essere venduta in un discount? In un’epoca in cui ognuno può acquistare un progetto già pronto, da realizzare sul proprio terreno - magari dall’altra parte del mondo - la Lettonia propone un padiglione a forma di supermercato. È T/C Latvija, un padiglione “instagrammabile”, dal forte potere comunicativo, che strizza l’occhio alle condivisione social. Esso reinterpreta le precedenti edizioni delle biennali di architettura di Venezia e le trasforma in scaffalature di supermercato, ognuna con delle finte confezioni su cui risaltano gli slogan delle mostre.

I visitatori hanno la possibilità di interagire con l’installazione: dapprima scegliendo tre prodotti da mettere nel carrello, quindi esprimendo la propria preferenza su quella che è stata la migliore biennale dal 2000 a oggi, semplicemente con il lancio di una pallina.

Utopian Infrastructure - Padiglione del Messico Photo by Marco Zorzanello, courtesy La Biennale di Venezia


Datament - Padiglione della Polonia

Un padiglione monumentale in cui i dati diventano realtà fisiche tangibili. È qui che trovano spazio quattro distinte architetture - progetti di Hong Kong, Malawi, Messico e Polonia - incastrate fra loro in un apparente confusione, nella quale i colori permettono la riconoscibilità delle singole architetture. Il tutto vuole farci interrogare sulla doppia faccia che hanno i dati: da un lato aiutano a ordinare le informazioni, dall’altra diventano una fonte di errori.

 

Utopian Infrastructure - Padiglione del Messico

Durante la visita della Biennale è giusto concedersi dei momenti ludici. L’alternativa al solito caffè viene offerta dal padiglione messicano, ribattezzato Utopian Infrastructure: The Campesino Basketball Court. Si tratta di un campo da basket in cui ognuno può cimentarsi a centrare il canestro. Ma dopo il divertimento la domanda: perché un campo da basket nella Biennale di Architettura di Venezia?

Tutto risale alla riforma agraria delle province messicane negli anni ‘40. Al tempo furono previsti migliaia di campi da basket, con l’idea che servissero da spazi cittadini aggregativi. Fu così che popolazioni estremamente eterogenee - dagli zapatisti fino alle comunità indigene - si trovarono a condividere uno spazio, oltre al momento ludico. Campi che ben presto divennero piccole piazze su cui si svolsero eventi, assemblee e mercati: il campo da basket rappresenta per il Messico un potente polo di aggregazione.

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