Città verticale e vita di comunità | The Plan
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Città verticale e vita di comunità

Toyo Ito & Associates

Città verticale e vita di comunità
Scritto da Toyo Ito -

Città verticali

Il Novecento è caratterizzato dalla crescita inarrestabile delle città. Nel corso del secolo la popolazione mondiale è aumentata da 1,6 a 6 miliardi, portando inevitabilmente a una progressiva densificazione urbana per far fronte all’incremento demografico delle città. Secondo il rapporto delle Nazioni Unite del 2018, il 55% della popolazione mondiale vive in città. Dal 2018 il tasso di urbanizzazione in Giappone ha raggiunto il 92,49%.

Un fatto inconfutabile è che la scelta di vivere in una città attira molte persone, specialmente i giovani, i quali possono condurre la loro vita libera dai vincoli di comunità e di famiglia come accadrebbe invece in provincia. Le città moderne offrono una vasta gamma di mezzi di sostentamento e di trasporto che inducono la popolazione a trasferirvisi in massa.
L’ideologia del modernismo ha favorito lo sviluppo delle città in quanto:

1. legittima un’individualità egocentrica;

2. libera le persone dalla comunità;

3. vince sulla natura grazie alla tecnologia.1

Due maestri dell’architettura del ventesimo secolo, Mies van der Rohe e Le Corbusier, hanno immaginato la città del futuro in linea con il pensiero del modernismo: Mies ha proposto grattacieli di ferro e vetro, mentre la visione di Le Corbusier contemplava una città verticale, ricca di spazi verdi con edifici a torre per uffici e residenze. Nel corso del Novecento la pianificazione di quasi tutte le metropoli è stata influenzata dalla loro visione.

Verso la fine del ‘900 il processo di verticalizzazione di edifici per uffici e residenze è sfuggito a ogni controllo. Nonostante questa situazione sia una risposta al processo di inurbamento, il motivo principale alla base del dominio dei grattacieli è l’economia globale: per massimizzare il profitto dalla poca superficie si è reso necessario costruire in verticale.

Attualmente a Tokyo sono in corso progetti di riqualificazione su ampia scala. Uno dei suoi quartieri centrali più grandi, Shibuya, è conosciuto come città dei giovani. Varie linee ferroviarie - Japan Railways, metropolitana, e società private di trasporto - portano circa 2,8 milioni di passeggeri al giorno verso Shibuya. La stazione era stata costruita lungo il fiume Shibuya; oggi, una fitta rete di strade e stradine si sviluppa in maniera radiale o parallela al fiume, ognuna con la sua caratteristica, facendo del quartiere un centro nevralgico, frequentato dai giovani. Uno dei progetti di riqualificazione riguarda proprio la zona attorno alla stazione di Shibuya. Ad oggi sono state costruite tre torri alte 200 m, a cui ne seguiranno altre nei prossimi anni, un progetto di rigenerazione per creare un “incrocio urbano” formato da ponti pedonali rialzati interconnessi a collegamento dei grattacieli. I ristoranti, che una volta erano posizionati al piano terra, sono stati spostati al livello dei ponti, costringendo i pedoni ad allontanarsi dal suolo. I negozi non connessi con il livello stradale hanno perso così la loro specificità e sono diventati anonimi.

Contrariamente alle città europee dove piazze, piccole e grandi, sono luoghi pubblici, in Giappone sono le strade stesse a essere spazio pubblico; ciascuna ha una propria identità, una propria storia. Le vie di Shibuya non fanno eccezione, ognuna ha personalità e tratti caratteristici unici, ed è ciò che rende affascinante questo quartiere. Un fascino però che può andare perso con i progetti di riqualificazione.

L’omologazione è una conseguenza del modernismo. L’idea che la natura possa essere conquistata dalla tecnologia prevede lo sviluppo verticale e la creazione di un ambiente artificiale sradicato dal terreno, dalla natura. La monotonia come risultato della sovrapposizione verticale di uffici e appartamenti non può dunque sorprenderci.

A Tokyo, oggi, i condomini-grattacielo sono “torri di dimore esclusive” e vivere ai piani alti, con un prezzo d’affitto elevatissimo determinato dalle magnifiche vedute, rappresenta uno status symbol. Questi edifici, però, non sono dotati di finestre operabili o terrazzi accessibili, per cui abitarvi significa vivere lontani dal suolo e avere rari contatti con la città e le sue strade. Il risultato è l’isolamento.Il 50% delle unità di abitazione del centro di Tokyo è fruito da una sola persona che si è trasferita nella maggioranza dei casi dall’hinterland in cerca di una nuova vita nella grande metropoli. Da un lato questi residenti hanno a disposizione tutti i comfort della città, dall’altro vivono un’esperienza di solitudine. È possibile superare questa condizione di isolamento?

Abitazioni e uffici condivisi

Attualmente i giovani nelle megalopoli tendono a condividere abitazione e ufficio. Non essendo in grado di permettersi affitti o proprietà nei grattacieli di lusso, molti cercano di condividere un ufficio in un qualsiasi condominio, ovviamente per ragioni economiche.

Il termine “condivisione” ha ormai perso la sua ragione originaria di efficienza economica. Le persone nella condivisione di un appartamento o di un ufficio trovano un significato più positivo. Gli inquilini di uno stesso appartamento hanno infatti l’opportunità di conoscersi, cucinare l’uno per l’altro e riunirsi nello spazio comune per ricevere amici. Gli uffici in condivisione, utilizzati specialmente da società start-up, consentono alle persone di conoscersi, arrivando anche a condividere progetti.

I giovani oggi stanno riscoprendo come godersi la vita che offre la città, in antitesi al vivere nei grattacieli esclusivi e lavorare nelle torri per uffici, frutto dell’economia globale.

“Home-for-All”, un progetto di architettura pubblica

Il mio studio sta lavorando dagli anni Novanta a progetti di edilizia pubblica. Ognuno di questi, specialmente le biblioteche, viene visitato quotidianamente da molti cittadini.

Sono passati ormai 20 anni dall’apertura della Mediateca di Sendai e del centro “Minna no Mori” Gifu Media Cosmos, il cui numero di visitatori supera ogni giorno le nostre aspettative. Gli utenti provengono da contesti diversi - ci sono bambini, madri, studenti e persone anziane - ma tutti condividono lo stesso spazio, formando una sorta di grande “arca comune”.
Tutto ciò è possibile perché gli spazi non sono divisi per funzione, anzi, formano un’area ampia, non dissimile da un parco, in grado di offrire scenari diversi. Non tutte le persone vengono qui solo per leggere libri. I bambini possono correre, in una certa misura, e qualcuno persino si appisola su un divano. Sono spazi pubblici in cui trovare il proprio posto preferito a seconda di come ci si sente in quel momento, come in un parco.

Un questionario distribuito agli utenti ha rivelato le reazioni dei visitatori a seconda dei gruppi d’età. I più anziani si sentono come se fossero in compagnia dei loro nipoti, mentre gli studenti stanno bene in un luogo dove ci sono persone diverse da quelle che vedono solitamente all’università.

Dopo il grave terremoto che ha colpito il Giappone orientale abbiamo cominciato a lavorare al progetto “Home-for-All”: una piccola casa in legno dove le persone colpite da questa tragedia possono incontrarsi e stare assieme. Case simili erano state costruite per le città della regione di Tohoku colpite dallo tsunami nel 2011 e, come unità residenziali temporanee, anche dopo il terremoto di Kumamoto del 2016. Costruiti in legno, con una superficie di 40 m2, questi spazi vengono utilizzati dalla popolazione locale per incontrarsi regolarmente e condividere un pasto o organizzare piccoli eventi come la visione di un film; un concetto decisamente opposto rispetto alla formalità delle sale comunali costruite dal governo. La maggior parte delle persone nelle zone colpite da disastri sono contadini anziani o pescatori che vivono da soli.
In queste comunità i servizi e gli spazi forniti da “Home-for-All” vengono condivisi per contrastare e superare la solitudine. Credo si possano davvero definire edilizia pubblica.

Allo stesso modo anche progetti come le biblioteche/mediateche menzionate poco fa, possono essere considerati come grandi “Home-for-All”, dal momento che perseguono lo stesso obiettivo. In generale, ogni progetto di architettura pubblica, oltre a mantenere la sua funzione specifica dovrebbe essere una “Home-for-All”, dedicata a chi è costretto a una vita solitaria in una grande città.

 

1 Hitoshi Imamura, Kindai no Shisou Kouzou (Structure of Modernism), Jimbun Shoin, Kyoto, 1988

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