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Per chi, dove, perché - Il mondo secondo Mecanoo

Francine Houben

Per chi, dove, perché - Il mondo secondo Mecanoo
Scritto da Francine Houben -

Scrittura e linguaggio
Lo stile in architettura è una tematica interessante, ma non così essenziale da costituire il fine principale della progettazione. Basti pensare a due abitazioni da noi realizzate all’Aia, nel 1988, in collaborazione con Álvaro Siza. Una prendeva spunto dalla Scuola di Amsterdam, l’altra dalla Nuova Oggettività. Le due correnti, in opposizione tra loro, furono in contrasto durante gli anni Venti e venivano proclamate dai rispettivi esponenti come il vero stile del periodo. Tuttavia, la reale bellezza stava nella loro commistione: introversione ed estroversione, pesantezza e leggerezza, materialità e astrattezza. Lo stile è un concetto datato; l’architettura necessita di interpreti ricettivi, capaci di usare come strumento la mano e di cambiare di volta in volta linguaggio per rispondere in modo intelligente e adeguato al luogo, all’incarico e alla cultura di riferimento.
Un edificio di pregio, figlio di una buona progettazione, è più di una brillante traduzione del programma. Nelle scuole di architettura spesso viene insegnato agli studenti ad analizzare meticolosamente i requisiti progettuali. A volte, la forma di un edificio salta fuori come dal nulla; tuttavia abbiamo una sola certezza quando iniziamo a pianificare: l’uso dello spazio è in continua evoluzione.
I docenti hanno quindi l’obbligo di insegnare ai futuri architetti che è necessario osservare le persone e i luoghi. Non possiamo usare Photoshop per modificare il mondo, dobbiamo staccarci dai computer e sporcarci le mani. L’unica qualità significativa dell’architettura è la possibilità di avere a che fare con i cinque sensi.

I tempi stanno cambiando
La funzione degli edifici è soggetta a cambiamenti. Dovremmo porci come obiettivo la realizzazione di architetture flessibili, capaci di evolversi e modificarsi nel tempo. Per edificio flessibile non intendiamo una struttura intelligente, in calcestruzzo, con pareti mobili. Flessibilità nel costruire è la capacità di produrre spazi in grado di adattarsi alla vita delle persone che li abitano, facendoli propri. Un esempio calzante è la biblioteca del Politecnico di Delft (TU), inaugurata nel 1997. Fino a quel momento, alla TU non si percepiva la benché minima atmosfera tipica di un campus, così abbiamo deciso di sovvertire le cose. Abbiamo realizzato questo complesso con una copertura verde, simile a un foglio di carta che si solleva da terra sostenuto da colonne e rivestito da ampie vetrate: un edificio tra vegetazione e trasparenze. Un volume conico, il simbolo della tecnologia, “buca” la biblioteca e il panorama, tenendoli uniti come una puntina attaccata alla parete. La copertura è uno spazio accessibile a tutti, un luogo di relax dove poter passeggiare e sostare in libertà, un’attrazione per l’intero campus. Grazie alla presenza del giardino in copertura, di facciate vetrate che garantiscono alte performance climatiche e di un sistema sotterraneo di accumulazione di calore e di aria fresca, l’edificio raggiunse allora i più alti standard in materia di sostenibilità.
Nel 2007, a Mecanoo è stata commissionata la trasformazione di questa biblioteca in un Centro di documentazione e formazione, con spazi adibiti alla ricerca individuale e di gruppo, e altrettanti dedicati all’apprendimento e alla socializzazione. La diversa tipologia di utenti è strettamente correlata alla presenza di più funzioni complementari e alla revisione strategica degli orari di apertura. La hall centrale è stata convertita in un ambiente con un ventaglio di atmosfere al suo interno: le postazioni di lavoro, diverse tanto per ubicazione quanto per categoria, l’hanno trasformata nel “salotto” dell’università. Quest’architettura ha dato prova negli anni di grande sostenibilità.

Un palazzo per i cittadini
Le biblioteche sono, al giorno d’oggi, gli edifici pubblici di maggiore importanza. Il libro non ne è più l’elemento focale, poiché la gente non vuole solo informarsi, ma anche avere modo di creare conoscenza. Le biblioteche sono le cattedrali della società moderna. Da architetto, ritengo sia necessario rendersi conto che, in questi casi, i fondi a disposizione sono risorse pubbliche e, come ci vengono affidati, devono essere adeguatamente restituiti alla comunità, passando prima dal nostro ingegno e poi dalle nostre mani. Bisogna essere al contempo visionari e capaci di produrre qualcosa di socialmente utile. L’architettura non è un’arte autonoma; per me è fondamentale essere una progettista coinvolta nel sociale.
Un edificio è frutto della collaborazione tra molti stakeholder. È un lavoro di cooperazione.
Le biblioteche centrali dovrebbero essere i palazzi dei cittadini. Questo è il concetto che Mecanoo sta cercando di trasmettere con la Biblioteca di Birmingham. Oggi, nell’era della globalizzazione, le persone sono alla ricerca di una propria identità e, come architetto, sento di avere un ruolo importante nella crescita culturale.
Il punto di partenza è stata la ricerca dell’essenza di Birmingham. Pur non trattandosi di una prassi comune nel Regno Unito, ritengo infatti essenziale osservare il tessuto urbano prima ancora di progettare. Un edificio pubblico deve essere parte della città, a ogni scala.
Durante la mia prima visita, mi sono imbattuta in un normalissimo percorso pedonale lungo il sito e ho subito pensato di connetterlo all’interno dell’edificio. Mediante scalinate, scale mobili, spazi vuoti a tutt’altezza e terrazze in copertura, si è creato un rapporto visivo con la città e con il contesto circostante. Le terrazze fanno da eco ai pendii in lontananza, mentre la facciata esalta la ricca e importante eredità industriale della città: i cerchi in acciaio sono infatti un’ode alla rivoluzione industriale, periodo associato a una mentalità progressista, orientata al futuro. Dall’interno, guardando attraverso questi oculi, Birmingham si presenta con un’immagine ancora diversa. L’identità è qualcosa che cambia nel tempo; devi trovarla e reinterpretarla. L’architettura, da sola, non ha le forze per fornire nuove identità alle persone.

Ombra e riparo
Nel 2004 abbiamo iniziato a progettare La Llotja, un centro congressi con teatro a Lerida, la seconda città della Catalogna. Ogni volta avvertivamo un’atmosfera diversa: i frutteti circostanti ci meravigliavano con nuovi colori e nuove trame al mutare delle stagioni, caratterizzate da nebbia e umidità in inverno e da luce e calore in estate. Da qui la scelta di progettare l’edificio con ampi aggetti, così da offrire riparo dal maltempo d’inverno e ombra d’estate.
Gli abitanti del quartiere mi avevano riferito che in precedenza quello stesso luogo ospitava un mercato ortofrutticolo. Cibo e agricoltura sono elementi imprescindibili della cultura spagnola. L’espressione catalana “Aqui Fruinem” significa “qui si mangiano prodotti locali”. Gli chef traggono ispirazione dai prodotti freschi del territorio per i loro menù, e allo stesso tema ci siamo ispirati noi per gli interni della Llotja. Il teatro riprende l’atmosfera del frutteto attraverso pareti in legno scuro intarsiate da alberi luminosi. Migliaia di foglie illuminano il soffitto mentre le varie cromie dei frutti vengono riprese in piccoli dettagli lungo l’intero complesso. Negli edifici pubblici, gli interni devono trasmettere un senso di calore e di familiarità, devono essere ricchi di riferimenti culturali chiari agli occhi dei cittadini. Di notte, il centro si illumina, rivelando la meraviglia e la carica di colore dei suoi ambienti.

Una lezione americana
Durante i miei anni di studio, la parola “intuizione” era bandita in architettura. La maggioranza degli architetti dell’epoca aveva infatti una forma mentis razionale. Nel 1978, grazie al mio professore Max Risselada, conobbi Charles e Ray Eames. Da allora fino al 1988, sono andata a trovare un paio di volte Ray Eames a casa sua. I due designer avevano un approccio e una mentalità di grande esempio per me. Erano maestri nel riunire in un’unica soluzione l’aspetto tecnico, umano e ludico. Sperimentavano nuovi materiali per realizzare sedie e, durante le varie fasi, ne scoprivano e comprendevano i limiti; un iter che li ha sempre spinti verso l’innovazione. Nella loro lontananza da dogmi, questi due progettisti non hanno comunque mai perso di vista il comfort. Sono, di fatto, il re e la regina dell’arredo di design, hanno creato opere che rimangono una fonte inesauribile di ispirazione. La loro residenza, costruita nel 1949 sulle colline di Santa Monica presso Los Angeles, si sviluppa con fantasia fra gli eucalipti di un sito eccezionale quale straordinario risultato dell’unione tra il sensoriale e il tecnico. L’architettura non è mai una questione puramente visiva, concettuale o intellettuale, ma deve abbracciare tutti e cinque i sensi. Deve racchiudere ogni elemento in un’unica soluzione.
Ciò che davvero conta è saper combinare forma ed emozione. Quando si progetta un edificio pubblico, una delle maggiori difficoltà sta nella complessità. L’architettura, infatti, non è una singola opera d’arte, bensì un processo di collaborazione tra vari attori. Il suo potere sta nell’essere un agglomerato di qualità e differenze, tutte mescolate, racchiuse e riunite nella progettazione. A Boston, abbiamo creato un edificio comunale con servizi per la comunità che diventerà la sede del Dipartimento di Istruzione Pubblica. Dudley Square si trova a Roxbury, vicino al centro di Boston, e rappresenta il fulcro e l’anima della città. Questo quartiere, annesso alla città nel 1886, è da sempre un luogo unico per gli scorci sulle colline, un modello di America poiché crogiolo ed esempio di società stratificata.
Per capire cosa fosse necessario per Roxbury, ho passeggiato per le sue strade e parlato con molte persone. Per i residenti, il Ferdinand Building è il simbolo di ciò che una volta era il cuore vibrante del quartiere, con i suoi negozi e jazz club. Per 40 anni, non ci sono stati investimenti commerciali. È toccato a Thomas Menino, sindaco di Boston, decidere se costruire o meno su quel suolo. Il quartiere ha scelto a chi affidare il proprio sogno, optando per una progettista olandese in collaborazione con Sasaki, un architetto locale. Per l’intervento, è stato fondamentale il coinvolgimento attivo delle persone: chiedevano che il sito desse lavoro ai residenti, volevano negozi e bar sulla strada. Il progetto che avevamo in mente voleva essere uno spazio bellissimo, con la possibilità di offrire delle postazioni PC per la comunità. Oltre alla leadership strategica e al coinvolgimento dei cittadini, l’opportunità di creare occupazione e istruzione sono stati dei fattori chiave per incoraggiare ulteriormente l’emancipazione del quartiere. Tutto questo mi porta alla mente cosa mi ha attratto delle opere di Ray Eames e come la soluzione per questo tipo di progetti non possa essere frutto dello stile o di una mera risposta razionale. L’edificio non è una semplice scatola dove mettere al sicuro le scrivanie e i computer dell’ufficio municipale. Questo progetto è un nuovo inizio per gli abitanti di Roxbury, i quali potranno nel tempo iniziare a credere in un futuro da riscrivere. La maestria della facciata in mattoni, assieme alla via pubblica che segue la direzione di una precedente linea della metro, mostra tutta la loro storia in comune.

Per chi, dove e perché
Non dobbiamo dimenticare per chi progettiamo. La gente appartiene alla terra in un modo o nell’altro. Gli spazi sono il frutto dell’ambiente e il riflesso di un ventaglio di climi e culture. Gli architetti dovrebbero osservare le persone, i luoghi e le finalità, invece di limitarsi a stilare programmi. La discussione sullo stile non è interessante per il settore; ciò che serve è sviluppare una grande capacità di scrittura, adottando il linguaggio più appropriato a seconda dei vari contesti. Quello che voglio dire, è che gli architetti devono focalizzarsi meno sul prodotto finale e accettare il fatto che stanno contribuendo a scrivere una storia tanto lunga quanto in costante evoluzione. Il fine ultimo è creare spazi che racchiudano il desiderio di essere usati. Per chi, dove e perché.

Francine Houben

 

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