La Croazia sembra aver galleggiato sull’onda della storia come un tappo di sughero, mantenendo viva la propria identità attraverso secoli di conflitti e dominazioni straniere. Come nuovo stato indipendente di 4,5 milioni di abitanti è riemersa, dissestata ma intera, dalla Federazione Jugoslava e dal conflitto bellico interno del 1991-95. Racconta l’architetto Hrvoje Njiric: “per cinque secoli abbiamo importato idee dai maggiori centri europei adattandole alla situazione locale e creando così il nostro piccolo mondo. Il fatto che fossimo non allineati e periferici ci ha permesso di esprimere fantasia, ambizione e talento”. Questo spiega l’importante retaggio che il modernismo ha lasciato, specialmente a Zagabria, la capitale e di gran lunga la città più grande del paese. Qui Stjepan Planic progetta negli anni Trenta emblematici edifici per uffici e numerose ville e Ivan Vitic, alla fine degli anni Cinquanta, l’imponente Padiglione della Fiera di Zagabria, un elegante edificio vetrato quartier generale del partito comunista, e l’innovativo blocco residenziale commissionato dalla Banca Nazionale. Negli anni Trenta Nikola Dobrovic importa a Dubrovnik da Praga una raffinata versione del modernismo e tre architetti croati progettano nel 1963 a Sarajevo l’aereo cubo bianco del Museo di Storia. Gli edifici menzionati si distinguono all’interno di una ricca cultura architettonica interrotta ma non distrutta dalla guerra e dalle crisi politiche ed economiche. Il socialismo ha avuto molti aspetti positivi. Tito stesso era croato ed è riuscito a reprimere il nazionalismo tossico che ha incrinato la federazione prebellica e distrutto la seconda. “Abbiamo goduto di alcune libertà e opportunità e abbiamo sempre potuto andare all’estero, anche negli anni Cinquanta e Sessanta quando il blocco sovietico era tagliato fuori”, racconta Alan Plestina, uno dei fondatori dello studio UPI 2M. “Gli edifici pubblici venivano costruiti senza attendere la concessione di permessi e...
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