L’intensa matericità della pietra naturale, nella sua espressione più autentica, avvolge gli spazi dell’OH HO Residence a Bangalore: il progetto intende recuperare una tecnologia costruttiva tipica del posto, ma ad oggi poco utilizzata, per creare un ambiente di vita essenziale, definito da superfici tutte diverse una dall’altra e pervaso da quel senso di spiritualità che anima i templi nel sud dell’India.
Il sito sul quale sorge la residenza è una ex cava di estrazione che, dopo l’abbandono, è stata suddivisa in una serie di lotti residenziali, all’interno di un quartiere che confina con un parco zoologico nazionale. Uno di questi lotti, rivolto a nord e con una superficie di 370 m2, appartiene a Senthil Kumar Doss, fondatore dello studio Play Architecture. Come spesso accade quando le figure del proprietario e del progettista di una residenza si trovano a coincidere, la casa rappresenta un vero e proprio manifesto di un pensiero architettonico.
Nel caso dell’OH HO Residence, il manifesto è dedicato a un materiale locale e alla relativa tecnica di costruzione: una pietra naturale di colore grigio chiamata chapdi, lavorata in lastre dello spessore di 10 cm, da sempre associata alla tradizione costruttiva di Bangalore e, più in generale, di tutto lo Stato indiano del Karnataka. Tuttavia, per qualche ragione, tale tradizione si è persa nel tempo, e non soltanto in questa parte del mondo: oggi la pietra, nonostante sia storicamente riconosciuta come uno dei materiali da costruzione più versatili e rappresenti quello con la più bassa impronta di carbonio, viene il più delle volte relegata alla realizzazione di elementi secondari come selciati e muri di cinta.
È dalla volontà di esplorare il potenziale inespresso – o piuttosto dimenticato – della pietra naturale che nasce il...
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