La pratica architettonica nel subcontinente indiano è caratterizzata da una diversità intrinseca a fronte di una realtà contingente in un contesto in rapida evoluzione. Il ruolo e l’essenza della disciplina architettonica vengono ripensati in modi nuovi, mai considerati in precedenza e il mutamento causato dal cambiamento sociale può essere attuato in modo consapevole e perfino reattivo. La rapida crescita delle città, la natura dell’economia, le migrazioni e, nella nostra epoca digitale, l’automazione, l’intelligenza artificiale e la prospettiva del cambiamento climatico stanno ridefinendo in un modo impensabile la creatività nella pratica architettonica. Il passaggio a una popolazione urbana, che ha superato quella dell’hinterland rurale dei primi anni Duemila, ha portato a nuove tipologie di insediamento, come grandi magazzini, torri per uffici, edilizia abitativa di massa e metropolitane, comportando di conseguenza nuove esigenze di consumo e produzione. Il rapporto dell’architettura con l’ingegneria, la tecnologia, le arti e la città si è trasformato in modo irreversibile in quanto ampie porzioni di terreno agricolo sono state convertite in centri industriali, in quartieri e complessi abitativi periferici, spesso privi di servizi per la comunità quali centri culturali, scuole e spazi ricreativi.
Senza ricorrere a criteri cronologici, la creazione di archivi che raccolgono pratiche e progetti all’interno di tali contesti trasformativi diventa il nuovo indicatore per architetti, università e società civile. Le “architetture della diversità” implicano la coesistenza di vettori multipli e contraddittori.
Nel cercare di dare un senso all’ambiente che ci circonda, sia “culturalmente e storicamente” sia “tra caos e ordine”, emergono diverse domande.
Il paradosso delle problematiche contestuali
Come può la pratica architettonica soddisfare una pluralità di aspirazioni? È essa in grado di ridefinirsi per rispondere alle forti disuguaglianze delle città indiane? È in grado di superare gli intrinseci pregiudizi di genere? Come possono gli studi di architettura riscoprire la fluidità e la flessibilità proprie della creatività spaziale? I momenti di transizione sorgono e si dissolvono all’interno dei confini mutevoli tra progettazione urbana, architettura, ingegneria e arti.
Alcune di queste preoccupazioni sono generiche ma molte sono specifiche del contesto culturale e della posizione geografica. A seconda della natura del patrocinio o del supporto, giovani studi emergenti hanno spesso la capacità di analizzare nei dettagli progetti per la comunità a scala ridotta. La natura temporanea dell’abitare mette in discussione i vantaggi di materiali duraturi come il calcestruzzo rispetto alla transitorietà di altri quali bambù, argilla, acciaio prefabbricato o ardesia.
La creazione di un archivio consente a professionisti e ricercatori di affrontare una carenza nel discorso architettonico e urbanistico in India, una lacuna diventata ancora più lampante con la quinta edizione dell’opera magna di Kenneth Frampton, Modern Architecture: A Critical History. La sezione dedicata al Sud del mondo e all’India tenta di ridefinire i confini dei precedenti paradigmi eurocentrici. Rahul Mehrotra allude al fatto che il più delle volte si discute soltanto della prima fase modernista, quella dal 1947 al 1985. La mancanza di una documentazione sistematica sui progetti e sugli studi degli ultimi 30 anni (dagli anni Novanta a oggi) caratterizza la tendenza transitoria di questi progetti.
Questo problema ha assunto un significato personale più profondo in seguito all’invito da parte di Frampton ad aprire un discorso sulle cinque edizioni di Modern Architecture dagli anni Ottanta a oggi. Per sua formazione accademica egli si cimenta nel trovare le contraddizioni insite nella sistematicità della documentazione, ricerca e archiviazione dei dati relativi all’architettura. In un contesto di diversità e coesistenza di molteplici prospettive, discernere i significati e la rilevanza con obiettività diventa un‘impresa ardua e, a volte, impossibile.
L’invito di THE PLAN, dietro presentazione da parte di Peter Rich, ha creato un’occasione per rivisitare il paesaggio geografico e storico della pratica architettonica in India attraverso il tempo. L’obiettivo è comprendere i programmi generativi, il contesto, i committenti e le motivazioni che ispirano questi interventi.
I primi progetti di Didi Contractor, Laurie Baker, Brinda Somaya, Nari Gandhi, Charles Correa, Achyut Kanvinde, B.V. Doshi, Raj Rewal e della prima generazione di architetti indiani continuano, sotto diversi aspetti, a influenzare questo discorso. Il desiderio di ragionare sul rapporto con la natura, i materiali naturali e i sistemi energetici passivi si evidenzia nei progetti ad Auroville, nell’India meridionale. Professionisti come ad esempio Studio Mumbai hanno fornito ai più giovani una base contestuale per esplorare e intraprendere nuove direzioni.
La diversità si è manifestata in molte forme: le creazioni di Didi Contractor – abitazioni costruite con ardesia, argilla e bambù – trasmettono un profondo rispetto per la natura; il museo tribale progettato da Revathi Kamat è un insieme di pratiche edilizie indigene, così come tanti altri suoi progetti; Samira Rathod, Chitra Vishwanath, Suhasini Aiyer, Anupama Kundoo e Mona Doctor analizzano il rapporto tra abitazione, materiali e contesto climatico.
I caravanserragli, i centri comunitari costruiti in bambù, i cascinali, le scuole rurali come i processi di partecipazione comunitaria realizzati in proprio ampliano il contesto contemporaneo, in quanto generano ricerche che mettono in discussione le categorizzazioni. In un contesto così trasformativo, la possibilità di far nascere istituzioni umanitarie e sociali crea procedimenti alternativi. Le nuove tecnologie relative ai materiali naturali, al legno e all’acciaio stanno già modificando le pratiche edilizie.
Le architetture della diversità caratterizzano il contesto contemporaneo. La diversità si presta a una maggiore espressività, spontaneità e apertura sia nella progettazione sia nella costruzione, e le sfide legate alla sua documentazione implicano una creazione di archivi e raccolta dati graduale e collaborativa. L’impegno per la diversità si presta a studi e approfondimenti inclusivi, ampliando la portata della creatività architettonica.
Per favorire l’emergere della diversità occorre rivedere anche la formazione dell’architetto attraverso un cambiamento di paradigma nei processi di apprendimento come le pedagogie esperienziali impregnate di una più profonda comprensione delle prassi, le ecologie, le arti liberali, la storia, la tecnologia e le mutevoli aspirazioni sociali, oltre a una conoscenza di base pragmatica della scienza della costruzione.
Storia e amnesia
Come in molte altre regioni, l’architettura moderna ha rappresentato per l’India uno strumento di cambiamento sociale che rifletteva lo spirito di una nazione indipendente (1947). Mentre Le Corbusier e la sua Chandigarh davano forma alla nuova creatività della prima generazione di architetti, i piani per le nuove città traevano le loro forme dagli antichi paesaggi urbani britannici. A livello istituzionale, l’Indian Institute of Management (IIM) di Louis Kahn fa riferimento al monastero come luogo di apprendimento; il dormitorio Golconde a Pondicherry (1935), progettato da Raymond Antonin e George Nakashima e riconosciuto come uno dei primi edifici in calcestruzzo, precede tuttavia sia Chandigarh sia l’IIM; ispirato alla vita di Gandhi, il progetto di Charles Correa per il Gandhi Memorial all’Ashram Sabarmati ha in parte fornito una traccia che l’architettura indiana avrebbe poi seguito; prendendo spunto dall’architettura indigena, B.V. Doshi ha sviluppato una propria arte del costruire e per il progetto residenziale Aranya a Indore, nonché per la sede del proprio studio e abitazione, si è ispirato al vernacolare.
Nel tentativo di evocare una storia perduta, la mostra Vistara di Carmen Kagal, Correa e altri colleghi (metà degli anni Ottanta) si è rivelata un importante cambio di rotta, dove sono stati presentati edifici storici inseriti nei diversi paesaggi indiani ma anche insediamenti e villaggi indigeni. L’architettura funzionalista e moderna è stata criticata nel contesto di una rievocazione storica e culturale dell’immaginario mitico e delle consuetudini di credenze e pratiche.
La liberalizzazione dell’economia indiana negli anni Novanta ha interrotto questi processi, portando alla creazione dei software park. Questa trasformazione socioeconomica ha condizionato anche l’architettura attraverso quartieri delimitati da cortine vetrate continue, sigillate e climatizzate. Le incredibili trasformazioni delle città indiane e della pratica architettonica continuano a pervadere il paesaggio di questo Paese. Complessità e contraddizioni tra la necessità di grandi infrastrutture e un’architettura sostenibile seguitano a caratterizzare il discorso architettonico, mentre cerchiamo di dare un senso alle nostre scelte in ambito abitativo. In questo periodo sono emersi studi di architettura che presentano concezioni più significative: Kathpalia, Aniket Bhagwat, Sanjay Prakash, Opolis, Hunnarshala, Mandala, Girish Doshi, Kanade, Sanjay Mohe (Mindspace Architects), Soumitro Ghosh, Nisha Mathew, Malik Architecture, Matharoo Associates, Flying Elephant e Sthapati sono alcuni dei numerosi architetti che hanno risposto al cambiamento del paesaggio.
Vorrei ribadire che un’empatia “agnostica” nei confronti delle architetture della diversità offre una chiave di lettura al mondo della ricerca per comprendere le motivazioni alla base dei progetti recenti e per prendere in considerazione una storia pluralistica e stratificata.
Un archivio delle architetture della diversità del subcontinente indiano dà origine a una nuova ricerca per reinterpretare e riflettere con occhi nuovi sulla disciplina architettonica e sulla sua importanza per l’ambiente e le aspirazioni della comunità.
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