Non lontano dal centro di Bologna, in un quartiere residenziale alto-borghese, un esempio di quella rigenerazione edilizia di cui si parla tanto. Il patrimonio edilizio nazionale è stato in larga misura realizzato nel secondo dopoguerra, più specificatamente dagli anni Cinquanta alla fine degli anni Settanta, un periodo in cui era prevista, attraverso il “Piano di ricostruzione”, la possibilità di realizzare nuovi edifici al posto di quelli fatiscenti, spesso bombardati durante la guerra, aumentando considerevolmente la cubatura.
Tra l’altro se i proprietari avessero costruito il nuovo intervento in tempi stretti, non avrebbero pagato gli oneri concessori. A ciò si aggiungeva il fatto che i Piani regolatori, previsti per obbligo dalla per altro buona legge urbanistica del 1942, il più delle volte non erano stati approvati. Il risultato, come del resto prevedibile, è stata la realizzazione di una spropositata quantità di abitazioni prive di qualità e disseminate senza criterio nel territorio. Il nome di tutto ciò è ben noto: speculazione edilizia, per altro magistralmente raccontata dal ben noto film di Francesco Rosi Le mani sulla città. Tecniche rabberciate e materiali scadenti ci consegnano oggi un ingente patrimonio edilizio di scarsa qualità che è destinato o a crollare o, caso chiaramente auspicabile anche per ragioni di sicurezza, ad essere abbattuto. La palazzina denominata LB36 fa parte del secondo caso. Essa è stata costruita dopo l’abbattimento di un edificio più che mediocre, un’operazione questa costosa, specialmente quando l’edificio è nella città consolidata.
Sulle ceneri della fatiscenza è allora sorta una palazzina progettata da TECO+partners di quattro piani, che ospitano ciascuno appartamenti di circa 100 m2 serviti da un corpo scala...
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