Il telaio da pavimento: un microcosmo del mondo
Il telaio da pavimento è uno strumento essenziale utilizzato per la tessitura dalle donne beduine in Medio Oriente e Nordafrica. È una struttura semplice e portatile, montata direttamente a terra, dove i fili dell’ordito sono tesi tra due subbi paralleli separati da pioli e i fili della trama vengono intrecciati al di sopra e al di sotto di questi a formare il tessuto finale. Nelle comunità beduine, il telaio rappresenta il fulcro dell’interazione sociale e del lavoro domestico e svolge un ruolo fondamentale nella vita quotidiana. Oltre ad assumere una funzione centrale per queste comunità, che si muovono nel deserto con le loro tende, il telaio detiene un forte significato simbolico e metaforico dell’identità culturale beduina: il processo di tessitura è più di un semplice metodo per realizzare i loro ripari, è una manifestazione della relazione con il mondo naturale e spirituale in cui vivono. Il ruolo fondamentale che gioca la tessitura nella vita quotidiana delle comunità beduine non è dovuto solo alla produzione di tessuti per le loro dimore e il loro vestiario, ma simboleggia l’interconnessione di ogni cosa nell’universo. Ogni filo rappresenta un aspetto unico dell’esistenza, ed è soltanto intrecciando ognuno di questi fili che si riesce a creare un tessuto compiuto e resistente.
Il telaio da pavimento non evidenzia solo l’importanza di modi e misure nel processo di tessitura, che consentono di procedere correttamente e produrre tessuti di alta qualità, ma è anche simbolo di intraprendenza e adattabilità. Esprime l’abilità di creare qualcosa di prezioso e utile anche in circostanze difficili e provvisorie. Infine, a livello culturale, rappresenta una continuità delle tradizioni, passando di madre in figlia e tramandando il patrimonio culturale e le conoscenze intergenerazionali. Questa arte generazionale trasmette importanti valori culturali e spirituali come la pazienza, la perseveranza, l’interdipendenza e la collaborazione.
Sono principi che si riferiscono a un’epoca e a una cultura particolari che negli ultimi decenni sta svanendo. Il tradizionale patrimonio culturale del nomadismo nel mondo arabo ha lentamente lasciato il posto a un’ondata di urbanizzazione e modernizzazione che ha inciso sulle culture e sui paesaggi urbani. Una transizione evidente non solo nella cultura stessa ma anche nei suoi processi produttivi. Karl Marx scrisse che nel modo di produzione capitalistico «il lavoro non produce soltanto merci; produce […] l’operaio come una merce».1 L’era della produzione industriale ci ha allontanato da un rapporto diretto con i materiali e con il “fare” ottundendo il nostro senso del divenire e le nostre connessioni con il mondo fisico che ci circonda.
La realizzazione di oggetti e l’impegno necessario per produrli richiede un grado di precisione e destrezza nell’utilizzo degli strumenti che è parte integrante dell’identità culturale beduina e, per estensione, del patrimonio ancestrale di molte culture arabe. Anche se il telaio da pavimento non è l’unico strumento utilizzato per realizzare una tenda o una struttura, esso incarna una forma di conoscenza a lungo ignorata dai canoni dell’architettura: rappresenta un approccio “anti-architettura” che prospera in ambienti di limitate risorse, da cui tuttavia non si sente minacciato e che valorizza l’intraprendenza e l’adattabilità anziché privilegiare materiali stanziali, spesso per giunta più dannosi e costosi per l’ambiente.Cosa possiamo imparare dal telaio da pavimento e dai principi che rappresenta? Come possiamo introdurre questi strumenti nelle pratiche edilizie contemporanee per creare nuove potenzialità compositive e socialmente utili?
Conscious Skins: reintegrare il patrimonio culturale nei processi produttivi moderni
Questi principi hanno guidato il mio approccio e la mia metodologia per un corso di design avanzato alla Yale School of Architecture nel 2021 che ho chiamato “Conscious Skins”. Gli studenti hanno iniziato la loro ricerca identificando una particolare tradizione artigianale indigena incentrata sulla struttura del tessuto e sulla tecnica tessile esistenti e, in alcuni casi, in relazione all’ecologia del materiale. Nella prima metà del semestre si sono dedicati all’approfondimento di queste conoscenze, all’esplorazione dei materiali e alla replica, all’adattamento e alla trasformazione delle pratiche di lavorazione a mano. Era fondamentale che le loro ricerche e i loro procedimenti creativi venissero documentati. In seguito hanno potuto in tal modo riflettere e argomentare sui loro processi di pensiero, sulle decisioni progettuali e sulle scelte dei materiali. La documentazione ha inoltre permesso loro di approfondire i contesti culturali e sociali legati alle tradizioni artigianali che stavano studiando, fornendo una piattaforma critica di coinvolgimento e dialogo.
I loro rigorosi esperimenti con i materiali e il rapporto con il mondo dell’artigianato hanno avuto come risultato un sistema completo di produzione tessile e l’intero processo ha permesso loro di comprendere a pieno la complessità spaziale e concettuale dietro alla creazione di “dispositivi”, “tessuti strutturali” e “architetture morbide”. Grazie a queste sensazioni provate attraverso il corpo, il cui strato più esterno – la pelle (skin) – è coinvolto attraverso il tatto, i loro processi produttivi sono diventati più pensati e consapevoli (conscious), portando a una maggiore coscienza del tempo e a un approccio più ponderato. Nel mio lavoro – e durante il corso universitario – l’enfasi posta sui tessuti deriva dall’ammirazione che provo per la tenda beduina, in arabo bayt-al-sha’ar, ovvero “tenda di pelo”; “tenda” deriva dal latino tendere, ovvero “allungare, distendere” e infatti essendo fatta di pelo di capra e lana di pecora può contrarsi ed estendersi adattandosi ai cambiamenti meteorologici. La lana è una fibra tessile naturale molto elastica e versatile che si presta a essere tesa e modellata nei modi più diversi. Come architetto sono attratta dalla capacità di questa tenda di adattarsi e trasformarsi in relazione all’ambiente, così come il telaio trasforma le fibre in tessuti. Questa proprietà mi consente di esplorare i confini della progettazione tessile, studiando nuove tecniche e materiali per creare strutture esteticamente piacevoli e funzionalmente innovative. Manipolando i materiali creo nuove possibilità compositive, dove il piano bidimensionale dà vita a forme tridimensionali dotate di una più profonda connessione con lo spazio circostante. Tale approccio rende omaggio ai principi di adattabilità, continuità, flessibilità e circolarità che caratterizzano la tenda beduina e al tempo stesso li amplia, esplorando nuove possibilità di forma e di funzione.
Dagli esperimenti personali e intuitivi con i materiali nascono strutture con caratteristiche proprie del momento e del contesto in cui ho iniziato il processo. Per poterlo visualizzare utilizzo uno strumento che chiamo “bussola creativa”, una rete di linee o relazioni che pongono il soggetto (io) al centro, circondato da esperienze diverse che modellano la mia prospettiva dell’ambiente circostante. La bussola mi aiuta a riflettere, a porre domande e a dare risposte informate, concrete, capaci di adattarsi alle sfide.
L’io/me al centro non è un significante dell’ego o dell’arroganza ma di una prassi riflessiva, che riconosce esplicitamente il nostro ruolo non come osservatori “oggettivi” del processo ma come attori “soggettivi” che hanno un impatto e che vengono influenzati dalle cose attorno e dentro di noi. La stessa rete di linee e relazioni interconnesse che intreccia le mie esperienze e le mie prospettive illustra al meglio questo atto di riflessione, di costante ritorno all’epicentro, in quanto vengono messi frequentemente e continuamente in discussione il proprio processo, la pratica, i risultati e le scelte.
La natura circolare della bussola riflette il mio approccio circolare al “fare”: il passato alimenta il presente e il presente alimenta il passato. La mia stessa eredità ancestrale è sempre stata al centro del mio processo creativo. Per ispirare un simile approccio circolare, il corso è iniziato con l’identificazione di determinate tradizioni tessili, di cui è stata analizzata la relazione tra materiali, tecniche costruttive e pratiche di progettazione altamente tecniche adottate dalla società. Lo scopo era quello di provare come la mano – guidata dall’intuizione, dall’esperienza e dalla conoscenza – sia alla base dell’estetica e determini l’evoluzione dei tessuti nel tempo.
Tessere per unire mente, corpo e anima
Il processo di realizzazione di una tenda beduina è dinamico e rafforza il legame tra mente, corpo e mani. Solitamente prima di iniziare a filare la donna beduina si siede per terra e fa scorrere lunghe ciocche di filamenti raccolti intorno al braccio, facendone di tanto in tanto scivolare una sotto la manica del suo abito ricamato. Nel trasmettere la propria energia ai fili, la donna compie il primo passo nella rotazione cosmica della creazione.
La filatura a mano è una fase fondamentale della tessitura nella cultura beduina, in cui la tradizione vuole che tutti i filati siano prodotti a mano. La filatura della lana è un’attività essenziale che richiede molto tempo. Il processo assomiglia a una pratica meditativa e l’azione stessa è una forma di meditazione. Ogni filo passa attraverso l’ordito e le mani di chi lo maneggia, formando un pezzo unico a sé stante. La tessitura nella cultura beduina crea uno spazio temporale in cui i movimenti sono regolari, piacevoli e rilassanti, risultando in un prodotto artigianale elegante e senza pretese di perfezione. Una volta che il filo è pronto per essere intrecciato, le donne possono procedere alla creazione delle tende tradizionali. Le dimensioni del corpo della tessitrice determinano quelle della sua tenda; servono da dispositivo di misurazione per dimensionare il riparo attraverso il procedimento della tessitura e della realizzazione. Il senso della scala si acquisisce mettendo a confronto l’oggetto con le dimensioni e la forma del corpo che si trova al centro del processo di esecuzione. Questa profonda connessione tra corpo, tessuto e riparo realizzato enfatizza l’importanza della funzionalità e della praticità della tenda, in quanto chi la crea deve assicurarsi che sia ben proporzionata e che si adatti alle necessità della sua famiglia. L’uso del corpo come strumento di misura stabilisce un legame diretto tra la forma umana e le proporzioni naturali dell’ambiente circostante, facendo in modo che la tenda sia adatta al suo scopo.
Nella cultura beduina il rapporto stretto tra il corpo della tessitrice e il prodotto finale non riguarda soltanto l’atto fisico della tessitura. Il canto è un’altra parte fondamentale del processo, presente durante quasi ogni fase, dal taglio e battitura dei peli alla tessitura vera e propria. Gli strumenti utilizzati – forbici, bastoni e telaio – creano un accompagnamento ritmico per la tessitrice che canta mentre tesse. In questo modo il tatto e il suono condividono le stesse origini.
Le donne beduine cantano delle preghiere (du’as) durante la tessitura, ritenuta essa stessa una forma di preghiera mentre il telaio è un simbolo della memoria. Ogni aspetto del processo è considerato sacro. Il ritmo e lo stile dei canti intonati durante la tessitura o altre attività artigianali preindustriali, seguono lo specifico movimento fisico richiesto.2 Nella cultura beduina la musica e il lavoro manuale sono profondamente legati; le canzoni, in questo caso strumenti all’interno del processo di lavorazione, creano un senso di comunità e di tradizione condivisa. Dall’unione tra musica e arte, tra tatto e suono, nasce un senso di concretezza che caratterizza il processo di tessitura, andando oltre ai risultati tangibili – la tenda – e creando connessioni significative e spirituali con i propri simili e con il mondo naturale circostante.
Terroir, tessere uno spazio sociale
Terroir è uno spazio culturale mobile ispirato al telaio da pavimento che ho ideato in risposta alle sollecitazioni del mio corso e come applicazione della mia pratica architettonica e delle mie ispirazioni culturali. Il concetto dietro a Terroir, il termine che i francesi usano per esprimere il senso del luogo, ha influenzato la progettazione della struttura. La stessa radice della parola terroir – terre – significa terra, terreno, territorio, a supporto dell’idea che un prodotto non è soltanto un insieme di materiali e processi ma una chiara espressione delle sue origini e della sua identità. È l’apice delle caratteristiche dell’ambiente locale, che lasciano un’impronta sul prodotto e sul suo processo creativo. Questa connessione con il processo di creazione di una struttura è fondamentale per dare luogo a un vero e proprio “spazio sociale” in cui le persone possono pensare, interagire e immergersi in un particolare momento nel tempo e nella memoria.
Terroir fa parte di un programma architettonico che prende spunto dalle competenze proprie delle comunità giordane, volendo essere al contempo di supporto e sostegno alle donne. Intende promuovere l’innovazione nell’artigianato e nella tecnologia dei materiali, favorendo in particolare l’utilizzo di fibre animali e mettendo in evidenza la storia e l’ambiente unici di questa regione al fine di promuovere un’economia circolare. Tessuta a mano da 14 donne della tribù giordana Huwaytāt, nella regione della Badia, questa struttura utilizza la lana delle pecore di razza Awassi per creare 16 tessuti strutturali che assieme vogliono trasmettere questo senso di terroir. Tale materiale composito, che assembla lana ed elementi lignei, ha dato vita a una struttura simile a una tenda, che unendo materiali morbidi e rigidi facilita esperienze immersive e interazioni sociali uniche.
Terroir è una struttura dinamica e portatile progettata per ospitare un’ampia gamma di esperienze culturali in luoghi diversi. Funge da punto d’incontro tra creatore e consumatore, in quanto il suo design e la sua configurazione sono il risultato dell’esperienza artigianale. L’ingresso è formato con filati di lana nella loro fattura originale, i quali gradualmente vengono compressi e intrecciati in modo da consentire al visitatore di penetrare all’interno di un tessuto in tensione. L’interazione tra materiali grezzi, forze organiche e inorganiche e la comunità è un’espressione della personalità e del carattere unici di un territorio, ovvero del terroir.
Il passaggio attraverso la tenda crea una cornice architettonica entro la quale il visitatore vive un’esperienza olistica e immersiva immedesimandosi in una tessitrice beduina, da cui impara ad apprezzare ulteriormente il valore del lavoro grazie al contatto diretto con il terroir del sito di produzione. La struttura mette inoltre in comunicazione diverse generazioni di manifatturieri e consumatori attraverso il contrasto tra i materiali, la costruzione e le esperienze culturali contemporanee, facilitando scambi sociali e stimolando l’impegno e l’attenzione sul processo di progettazione della struttura e sullo sviluppo di questa abilità.
Terroir è un ambiente intimo e al contempo pubblico, che valorizza l’importanza della cultura, del luogo e dei metodi tradizionali di apprendimento e di pratica con l’obiettivo di stabilire nuove relazioni con il processo del fare, promuovendo l’importanza della cultura e della tradizione in un contesto contemporaneo. Unendo pratiche tradizionali e contemporanee, Terroir offre una piattaforma collaborativa e creativa che ci invita a operare con misurata lentezza e a connetterci con il territorio, i materiali e con il prossimo. Ci esorta a coltivare il nostro rapporto con gli animali, sottolineando l’importanza di preservare e rispettare le risorse naturali necessarie per il nostro sostentamento.
Terroir, infine, è più di una semplice struttura fisica. È una manifestazione dell’eredità culturale e ancestrale e delle caratteristiche intrinseche di un territorio; è la valorizzazione del patrimonio e funge da trait d’union tra passato e presente, tra artefice e consumatore, tra tradizione e innovazione. Ricollegandosi al mio retaggio ancestrale e analizzando il significato culturale della tessitura, Terroir si propone come un progetto innovativo e un processo concettuale con cui affrontare i seguenti quesiti: come possiamo incorporare i valori ereditati, le qualità intrinseche e il patrimonio della tradizione nei nostri sforzi creativi? Quale impatto può avere questa azione sul nostro rapporto con il mondo naturale e con i nostri simili?
La tessitura come architettura sociale: ridare forma alle nostre interazioni con il tempo e lo spazio
Progettare esperienze materiali attraverso la tessitura ci permette di riflettere sul nostro lavoro e di connetterci con esso, di strutturarlo e di comunicarlo. Sperimentando più strutture tessili, otteniamo informazioni su come i diversi materiali si comportano se sottoposti a tensione e compressione e questo ci consente di spingerci oltre i limiti dei vari tessuti, dando vita a un design che mette alla prova le proprietà del materiale.
La tessitura è una tecnica artigianale che inizia con la costruzione del telaio e termina con la creazione di un tessuto; non è tanto un processo meccanico, è piuttosto una forma di connessione tra esseri umani, tecnologia, ambiente e comunità, che si basa sui principi naturali della vita, testimoniata dalla quotidianità dei beduini esemplificata dal continuo procedimento di tessitura e manutenzione. Il costante montare e smontare le loro dimore rappresenta un elemento significativo e dinamico nelle loro consuetudini.
La tessitura come meccanismo produttivo utilizza materie prime e pone il corpo di chi produce il tessuto e la tenda stessa al centro del processo di fabbricazione. In questo senso il riparo diventa simbolo del corpo, creando un senso di origine e di appartenenza senza pari nei paesaggi urbani contemporanei. La natura della tessitura, lenta e attenta ai dettagli, non esiste infatti nelle attuali culture edilizie; il desiderio di costruire più velocemente e di creare strutture più grandi, più alte e più rigide, ha preso il suo posto.
Affrontare la tessitura come modus operandi che abbraccia i processi di fabbricazione condivisi e collettivi può contribuire a rilanciare, in architettura, la filosofia “dalla culla alla culla”3, portando benefici ambientali e sociali nei nostri paesaggi urbani. La realizzazione di dimore, oltre a contemplare il coinvolgimento attivo di materiali, strumenti e tecnologie, comporta l’ideazione di nuovi potenziali creativi contribuendo in tal modo al sostegno del benessere dello spirito umano e dell’ambiente. Può inoltre ripristinare il legame contestuale del nostro paesaggio urbano con le sue origini, cultura e patrimonio, rappresentando una continuità nell’evoluzione della progettazione degli spazi che non è lineare ma circolare, radicata nel presente ma alimentata dal suo passato. Wang Shu, vincitore del premio Pritzker, ha infatti affermato che «perdere il passato significa perdere il futuro».4
L’architettura “dalla culla alla culla”, o architettura circolare, è di natura temporale e fornisce un modo pratico per riconnettersi con passato, presente e futuro, aprendo la discussione sul significato delle linee temporali che mostrano la circolarità della creazione. Per poter ristabilire la tessitura come metodo produttivo contemporaneo dobbiamo chiederci: come la possiamo sfruttare per ridare forma alle nostre interazioni con il tempo e lo spazio? Come possiamo – fisicamente e metaforicamente – utilizzare i metodi tradizionali di produzione per liberarci del territorio e delle forze che ci vincolano a un luogo, costretti in uno spazio sedentario e non evoluto?
Per certi versi, la natura della tessitura rafforza l’idea che l’architettura sia un processo sociale onnipresente che continua ad adattarsi: per passare a una forma di architettura che si approccia al tempo e allo spazio in un modo nuovo dobbiamo mettere in discussione i nostri processi produttivi attuali e tradizionali, capire dove hanno fallito e dove hanno avuto successo, dove sono cambiati e dove sono stati rafforzati. Dobbiamo analizzare i concetti di patrimonio culturale, di eredità e modernità, nonchè discutere del nostro approccio al tempo e delle nostre responsabilità nei confronti delle generazioni future in un processo attivo, riflessivo e sensibile, non solo all’interno del discorso architettonico.
Centro convegni e campus internazionale Zijing
Studio Zhu-Pei
La rubrica Letters from China di Li Xiangning è dedicata al Centro Convegni e Campus Internazionale Zijing di Studio Zhu Pei...Villa privata “JARZM”
John Friedman Alice Kimm Architects
Nella rubrica Highlights, Charles Dupont racconta la vIlla privata “JARZM” di John Friedman Alice Kimm Architects a Los Angeles...Campus della Japan Women’s University
Kazuyo Sejima & Associates
Lo studio Kazuyo Sejima & Associates firma il Campus della Japan Women’s University a Tokyo...