In fondo, sta tutto nel nome. Quando Thom Mayne, in seguito premio Pritzker nel 2005, fonda Morphosis Architects nel 1972, scegliendo questa denominazione per il suo studio fa una dichiarazione che vale quanto un manifesto. Un programma che saprà poi mantenere e rinnovare per più di cinquant’anni. Il disegno della forma e il suo mutare, il volume d’un edificio e le sue trasformazioni, le linee delle superfici e il loro sovrapporsi, i piani tridimensionali e i loro slittamenti sono tutti fattori che da sempre costituiscono gli elementi espressivi e la logica sintattica di una ricerca che ha posto le sue basi nelle modificazioni naturali (e innaturali) del suolo, inteso come territorio (vari decenni prima della teoria del land urbanism e a pochi anni da pietre miliari di una certa teoria architettonica, almeno per noi europei, quali i testi di Aldo Rossi e Vittorio Gregotti, entrambi del 1966). Per Mayne dalla divisione (non dalla scomposizione, come poi sperimentato dal decostruttivismo) e dalla stratificazione dei materiali costruttivi deriva un’interpretazione innovativa del costruito, combinazione di parti interconnesse. Se poi, dagli elementi che formano la logica di quest’architettura ostinatamente con-testuale, si analizzano i fattori intangibili che la definiscono, i progetti dello studio californiano si possono leggere come un continuo esercizio sul limite del concetto di urbanità, espresso tramite l’alto senso civico che questi interventi assumono. Basti pensare al ruolo baricentrico e permeabile della sede del Caltrans nel distretto 7 di Los Angeles (2005) o a quello del portale urbano diafano, ma al tempo stesso marcato e significante, che contraddistingue il dormitorio dell’University of Toronto (2000).
Nel suo secondo progetto italiano realizzato, l’altro è l’elegante ex Hypo-Alpe Adria Bank a Tavagnacco (Udine) del 2006, Morphosis Architects dimostra una...
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