Ci sono due antichi archetipi che ritroviamo sempre nell’architettura cinese, la casa in linea e la casa rurale. La prima è caratteristica della conformazione urbana e figlia della densità, la seconda è invece una tipologia che si perde nella notte dei tempi e che ha un valore simbolico oltre che funzionale. La casa in linea è figlia dell’accelerazione della crescita della conurbazione, dell’esplodere del fabbisogno abitativo per la popolazione che, dalle campagne, è attirata dalla città che promette miglior fortuna e ha una morfologia condizionata dalla necessità di praticità. La casa rurale invece ha un cuore, il tabernacolo degli avi ancestrali, che si riflette su una corte chiusa ai cui lati, negli anni e poi nei secoli, si aggiungono specularmente le case delle nuove generazioni: queste riprendono fedelmente il modello della prima casa, replicandolo praticamente senza fine. Nei villaggi rurali cinesi, questi affastellamenti di abitazioni costituiscono, con il loro cuore antico e spirituale, la dimostrazione tangibile della storia dei clan familiari, della loro storia e del loro futuro. È come un frutto che racchiude al centro il seme, quel frammento d’eternità che dà forza e sicurezza.
L’architetto di Taiwan Grace Ming-En Chang, che dopo gli studi al MIT e a Harvard ha fondato, nel 2009, lo studio atelier GRATIA, con questa grande villa urbana elabora e interconnette questi due archetipi, portandoli a nuova vita. Il progetto nasce dalla lettura attenta di un’anomalia nel disegno regolare del tessuto urbano della città di Kaohsiung: in questo punto s’incontrano due griglie urbane sviluppatesi in periodi diversi, ciascuna originata da una propria matrice. È uno scontro di assi e di variazioni d’angolo a disegnare questo lotto, che risulta estraneo alla logica di tutto quello che gli sta attorno. Chang, in questo...
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