Le opere di David Hotson si riconducono spesso a un’architettura “pelle e ossa”. Molti dei suoi progetti realizzati, infatti, sono una sequenza di spazi interni essenziali ed eleganti. Il rigore però non rende questi volumi statici, chiusi in una propria definizione; anzi, essi si aprono verso l’esterno con visuali affascinanti di altri mondi. Nelle fotografie, le superfici bianche e gli elementi in vetro creati su misura si richiamano a un elegante stile minimalista. Nella realtà, invece, l’obiettivo è molto più ambizioso. La complessità spaziale e gli intriganti effetti ottici dei lavori di Hotson si ricollegano a certi prototipi barocchi e ad ambientazioni proprie della cinematografia, rispettando lo stile rigoroso e contemporaneo dei suoi dettagli e del suo modo di costruire.
Un connubio poetico che trova espressione nel lussuoso appartamento Skyhouse, un attico che si sviluppa sugli ultimi quattro piani di un grattacielo storico di New York (THE PLAN 069). È noto che all’inizio del Novecento molti artisti prendono la decisione, condivisibile o meno, di eliminare la cornice dai dipinti e la base dalle sculture; analogamente l’architettura moderna immagina edifici isolati e indipendenti dal contesto. In questo intervento la composizione dei volumi anima in modo ottimale specifiche relazioni visuali tra l’ambiente interno, quello storico di prossimità e quello urbano sullo sfondo, costituendone la cornice tridimensionale; i muri del grattacielo e la copertura invece agiscono sia da involucro sia da objet trouvé.
Per Hotson, la cornice ha anche un altro ruolo, più elementare ed essenziale, il cui uso va inteso come sistema di assi nello spazio, di tracce e di confini che aiutano a dare forma alla costruzione fisica; in questo lavoro vengono stimolate le potenzialità tattili e fluide per la comprensione dello...
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