Interpretare, non adattarsi

Se c’è qualcosa di positivo che il postmoderno ha insegnato all’architettura è l’interpretazione. Il moderno è stato in gran parte dirigista e paradigmatico; proprio ciò lo ha reso epico, un’epica che in alcuni casi è scivolata in uno sprezzante autismo. Parlando del loro lavoro con Lazzarini e Pickering il discorso più volte si sofferma sull’importanza del cliente, su come nell’affrontare un progetto partano dall’interpretazione delle sue necessità e delle sue aspirazioni. Il secondo passaggio della loro poetica è interpretare e riassumere il dialogo per dar forma a un qualcosa che anticipa il progetto vero e proprio: uno schema formale primario capace di tenere insieme le varie fasi della successiva evoluzione progettuale. Sembrerebbe questa un’aporia.

Sappiamo che le richieste di un cliente sono descrittive e frammentarie, mentre al contrario gli schemi di progetto sono sintetici, eppure è proprio questa la caratteristica di un metodo progettuale che potremmo definire minimale a posteriori o interpretativo che dir si voglia. Parlando di attenzione per il cliente non si intende solo il cliente vero e proprio in carne ed ossa, ma anche i contesti in cui il progetto è calato. Come i clienti anche i contesti hanno le loro esigenze, spesso variegate, spesso incongruenti e allora anche in questo caso è necessario preventivamente ascoltare, comprendere la confusa lingua dei luoghi, in maniera empirica e prensile senza quel misticismo da genius loci che ha spesso appesantito l’architettura di non tanto tempo fa.

Il metodo di Lazzarini e Pickering non è un’eccezione in Italia, anzi potremmo affermare che è parte integrante di quella nuova sobrietà che sembra caratterizzare l’architettura nazionale, probabilmente la migliore. Cino Zucchi Architetti, Piuarch, GEZA Architetuttura,...

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