La storia del Mingei International Museum di San Diego è una bella favola americana, di quelle che toccano l’anima, possiedono una morale e possono servire sia da monito sia da sprone per migliorare la nostra vita. È una storia al femminile da sempre, che nasce nel 1978 dall’amore della fondatrice, la professoressa Martha Longenecker, per l’arte e la bellezza quotidiana delle cose create dall’artigianato durante i secoli che l’umanità ha attraversato su questo pianeta. Una storia che accomuna tutte le civiltà, basata sul senso dell’utile e dell’innovazione che si unisce con il bello del senso artistico.
Un amore per l’estetica più pura e semplice che dobbiamo a oscuri artigiani d’un tempo e che oggigiorno abbiamo consegnato al sapere dei designer.
Dentro a questo neologismo giapponese, mingei, ovvero “l’arte del popolo”, c’è una vera e propria scuola di pensiero in cui ci possiamo riflettere ora come allora, nel 1921, quando il filosofo Sōetsu Yanagi l’ha coniato per denominare, a Seoul, il primo museo dedicato alle cose di semplice utilizzo di cui ci circondiamo. Longenecker, storica della ceramica giapponese e apprezzata ceramista, trasportò l’essenza mingei all’interno di un contenitore speciale, un edificio realizzato nel 1915 in stile ispanico-coloniale per l’Esposizione Panama-California e poi rimaneggiato nel 1935, posto in prossimità del Parco Balboa, il primo parco pubblico aperto a San Diego nel 1868 e oggi il maggiore polmone verde della città con i suoi oltre 485 ettari di superficie.
Quando, nel 2015, il comitato di gestione del museo decide di fare una dozzina di interventi minori, entra in gioco Jennifer Luce, un architetto di Montreal che, oramai da decenni, ha fatto di San Diego la sua casa. Titolare di LUCE et studio, ufficio di...
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