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Dense-City

Come promuovere la qualità della vita e il cambiamento sociale

Larry Scarpa

Dense-City
Scritto da Larry Scarpa -

Il bisogno di un riparo è una delle necessità primarie dell’umanità. Architetti e costruttori delle epoche passate ci hanno aiutato a sopravvivere ad un nuovo mondo ostile attraverso un percorso che, partendo dalle protezioni rudimentali e primitive, giunge ad una architettura rappresentativa della società e della cultura contemporanea. Nel mondo di oggi vivere senza una dimora è una delle condizioni di maggiore criticità esistenziale del vivere in società. Disporre di un alloggio è uno dei diritti umani fondamentali.

Storicamente, negli Stati Uniti la dimora abituale non è mai stata considerata un diritto basilare. Gli alloggi a costi contenuti - ovvero con un prezzo inferiore al 30% delle entrate di una famiglia - prevedono un iter di disposizioni complicate da seguire che cambiano da stato a stato. Una legge nazionale di edilizia abitativa, interamente riformulata e di facile comprensione, risolverebbe le inefficienze degli strumenti di finanziamento, dei sistemi di edificazione e delle infrastrutture, promuovendo al contempo una politica di edilizia abitativa più equa della attuale.

Diversi stati e governi hanno messo in atto già da tempo una legislazione simile traendone beneficio. Nei Paesi Bassi la legge nazionale del 1902 si basava sulla premessa che l’housing sociale era da considerarsi una responsabilità nazionale condivisa; un diritto, e non un privilegio. Negli Stati Uniti una analoga legislazione potrebbe semplificare il nostro sistema di procedure atto a fornire alloggi a un numero maggiore di cittadini svantaggiati affrontando le disuguaglianze e discriminazioni sociali tuttora persistenti e la carenza di un capitale sociale, termine coniato circa 20 anni fa per definire valori condivisi e programmi pubblici più equi nei confronti di tutti; non solo per pochi, e non solo per la fascia più facoltosa. I governi federali, statali e locali hanno già a disposizione gli strumenti necessari ma bisogna adottare un approccio diverso se vogliamo rimuovere le barriere ingiuste e superflue dalla percezione, sia politica sia sociale, e attuare un’edilizia abitativa accessibile alla fascia di popolazione a basso reddito. Miglioreremmo così i nostri quartieri, le nostre città e la qualità della vita per tutti.

Concedere alloggi a prezzi accessibili è diventata al giorno d’oggi una delle questioni più controverse in quasi tutte le comunità degli Stati Uniti. Praticamente qualsiasi progetto che includa l’espressione “alloggi a prezzi accessibili” fa entrare in azione gruppi di opposizione. Alcuni di questi, tra cui NIMBY (Not In My Back Yard, non nel mio giardino) e ora BANANA (Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anything, non costruire assolutamente nulla in alcun luogo vicino a qualsiasi cosa) sostengono che tali progetti svalutino i quartieri portando criminalità, droga, persone sospette e altre attività illegali. Nonostante quanto vadano sostenendo le persone appartenenti a questi gruppi, l’accessibilità ad alloggi agevolati non diminuisce il valore del quartiere in questione, anzi, lo rafforza, come è testimoniato da diversi studi e ricerche da parte di urbanisti, sociologi e organizzazioni non profit, come Enterprise Community Partners e Affordable Housing Design Leadership Institute.

I quartieri diventano più resilienti se si investe nell’edilizia sociale. Se tutti potessero disporre di un accesso a una dimora sicura e pulita, a cibo salutare, all’economia locale, e a scuole, infrastrutture e servizi di qualità - da cui tutti traiamo beneficio - le comunità sarebbero meglio strutturate nell’affrontare i problemi che le affliggono. Le crisi sanitarie, i disastri naturali e le sfide che si ripetono nel tempo come l’inquinamento atmosferico diminuirebbero, poiché tutte le persone, a qualsiasi livello di reddito, avrebbero la possibilità di vivere più vicino al posto di lavoro e di accedere più facilmente ai mezzi di trasporto pubblici, potendo inoltre usufruire di servizi fondamentali per la salute. Fornire a tutti un alloggio potrebbe rafforzare le imprese locali che avrebbero manodopera più sana e più vicina, migliorare la qualità delle scuole eliminando la carenza di fondi e aiuti da parte dei singoli quartieri, soprattutto in quelli più popolari. L’ironia sta nel fatto che le organizzazioni sia a favore sia contrarie alla costruzione di alloggi a prezzi accessibili e al cambiamento all’interno della propria comunità generalmente si battono per le stesse cause: strade pedonali e piacevoli da percorrere, ristoranti e bar con tavolini all’esterno, tanti piccoli negozi e ampia disponibilità di servizi; vogliono entrambi potersi incontrare con gli amici per strada. Senza dimenticare, ovviamente, un’architettura a misura d’uomo. Nessuna delle due parti vuole più criminalità o un traffico congestionato e molti vorrebbero vedere passare dei tram o forme di trasporto pubblico decenti e avere parchi e altre infrastrutture sociali.

Le persone, per natura, sono esseri sociali e hanno bisogno l’una dell’altra per sopravvivere. Come dimostrano diversi studi prosperiamo quando ci aggreghiamo e formiamo dei gruppi sociali. Per quale ragione allora, è diventato così difficile densificare gli insediamenti residenziali? Perché i prezzi degli alloggi sono diventati troppo alti per alcune fasce della nostra popolazione? Queste sono questioni complesse che derivano da una serie infinita di timori politici, ideologici ed emotivi, infondati, sui benefici di abitazioni a prezzi abbordabili e sul genere di persone che ci vivono.

Politiche abitative e percezione, causa della carenza di alloggi

La questione ha precedenti storici. In America, e in gran parte del mondo, dalla Grande Depressione degli anni Trenta fino alla fine degli anni Cinquanta la classe operaia ha dovuto affrontare i problemi relativi alla cronica carenza di alloggi. Il “New Deal”, il piano di riforme promosso dal presidente Franklin D. Roosevelt, previde per la prima volta un programma di edilizia residenziale pubblica destinato ai non-militari. Questo piano edilizio, pensato principalmente per famiglie bianche di ceto medio-basso e di operai, era debolmente sovvenzionato e i locatari erano tenuti a pagare un affitto. L’intenzione non era dare un riparo a chi era troppo povero per poterselo permettere, ma ospitare coloro che potevano affrontare le spese di un alloggio ma non riuscivano a trovarne uno, in quanto l’offerta di abitazioni disponibili scarseggiava. Nonostante la politica abitativa del New Deal di Roosevelt prevedesse alloggi a prezzi contenuti con una netta separazione fra famiglie bianche e nere, la maggior parte di essi si trovavano nello stesso quartiere e, in genere, questa condizione era accettata da molte comunità in quanto considerata parte del tessuto urbano convenzionale. Malgrado questa politica di segregazione urbana promossa dal governo federale, nelle città i progetti di housing sociale riuscivano ad accogliere in parte diversità razziali, religiose e sociali.

Dopo la Seconda guerra mondiale lo sviluppo della rete autostradale aprì la via alla realizzazione di progetti nelle periferie finanziati da fondi privati, condizionati dall’uso dell’automobile. I posti di lavoro si spostarono dal centro città verso le periferie, con conseguente trasferimento delle famiglie bianche di ceto medio e basso. Come spiega dettagliatamente Richard Rothstein nel suo libro The Color of Law, questo fenomeno chiamato “White Flight” diede di fatto origine alla segregazione razziale in America. Rothstein identifica le diverse e specifiche linee politiche del governo che portarono alla discriminazione, gentrificazione e ulteriore divisione tra le razze. La fuga dei bianchi ebbe come conseguenza l’abbandono degli immobili nei centri delle città che, dismessi, iniziarono a degradarsi. Le minoranze e le persone di colore, sostanzialmente i poveri e la classe operaia, rimasero nelle città con scarse opportunità di lavoro e di risorse; un processo di disinvestimenti nei quartieri disagiati, dovuto al basso reddito imponibile degli abitanti, ne provocò il degrado, e gli alloggi pubblici rimasero l’unica opzione per una popolazione abbandonata nei centri delle città o nelle prime periferie. Invece di analizzare le cause principali della povertà i governi procedettero alla demolizione di edifici nei quartieri più affollati e animati, costruendo al loro posto, in nome della “riqualificazione urbana”, case popolari su grande scala mal progettate; queste strutture divenute ormai tristemente note, come il Pruitt-Igoe - un complesso di enormi condomini popolari a Saint Louis - e tante altre realizzazioni simili, furono messe sotto accusa in quanto seguirono alla demolizione di ampi blocchi all’interno dello stesso quartiere. Nonostante i veri responsabili della progettazione di queste architetture poveramente concepite fossero il governo federale, gli enti governativi, gli urbanisti e i supporter della segregazione razziale, la colpa del loro fallimento ricadde principalmente sui progettisti. L’insuccesso di questi progetti dipese dall’essere costruiti nei quartieri più poveri, con scarse opportunità lavorative e fondi inadeguati per la manutenzione, che portarono a condizioni di vita indegne, rischiose e insalubri; la gente comune cominciò ad associare le case popolari a comportamenti distruttivi, degrado urbano, povertà, droga, criminalità e altre conseguenze fortemente negative.

Col tempo tante di queste situazioni sono migliorate; oggi, negli Stati Uniti, molti progetti di edilizia sociale sono sviluppati e gestiti da organizzazioni non profit comunitarie, impegnate nell’assegnazione di alloggi alle persone in difficoltà e nel contribuire positivamente al benessere delle rispettive comunità di appartenenza. Nonostante il progresso delle politiche abitative molte persone hanno tuttora la percezione che questi alloggi a prezzi accessibili siano perlopiù destinati a persone senza fissa dimora, con un passato di criminalità e condizioni di salute precarie. Da un lato è vero che molte di esse soffrono di seri problemi mentali, malattie fisiche croniche e fanno abuso di sostanze stupefacenti, dall’altro però rappresentano soltanto una piccola minoranza della popolazione che non può permettersi un alloggio. La necessità di dover offrire servizi speciali di assistenza medica e sociale, non è la prassi; chi occupa gli alloggi a prezzi contenuti sono, di norma, individui attivi come insegnanti, vigili del fuoco, poliziotti, lavoratori del settore alberghiero, addetti alle pulizie, camerieri e altre persone a basso reddito. Sono loro, al pari dei senzatetto, la popolazione più a rischio, in quanto spesso non in grado di mantenere una distanza fisica salutare dagli altri e, ancor meno, di autoisolarsi, come abbiamo visto durante la recente pandemia. Sono loro, come tutti gli altri, ad avere bisogno di un alloggio adeguato a proteggere se stessi e le loro comunità.

Un percorso da avviare che preveda luoghi più idonei e nuove fonti di finanziamento

Per rendere accessibili alle persone a basso reddito soluzioni abitative a prezzi contenuti è necessario un cambio di paradigma, non solo nella percezione della società ma anche nelle modalità di assegnazione degli alloggi da parte delle strutture preposte e delle normative di riferimento. Le autorizzazioni e i finanziamenti governativi agevolano tuttora i progetti destinati nello specifico a famiglie a basso reddito, i quali spesso e inopportunamente vengono sviluppati all’interno di aree sociali disagiate, dove il lavoro è scarso e mancano scuole di qualità, parchi e altri servizi per i residenti, perpetuando così una situazione senza sbocco. Ed è proprio questo genere di scelte discriminanti che sta lentamente e drammaticamente devitalizzando quartieri e città. Invece di ubicare questo tipo di progetti esclusivamente nelle comunità povere e sostenerli al 100%, è necessario adottare un nuovo modello che incentivi gli imprenditori privati a prendere in considerazione alloggi a prezzi accessibili inserendoli in progetti a prezzo di mercato.

Il finanziamento degli alloggi sociali avviene attualmente tramite crediti d’imposta (LIHTC - Low-Income Housing Tax Credit), un sistema in cui il governo federale riconosce ai developer non profit dei crediti d’imposta da vendere in particolare sul mercato privato, al fine di finanziare i loro progetti di housing. Questo modello dovrebbe essere sostituito da norme inclusive, che prevedano all’interno di un unico progetto alloggi sia al valore di mercato sia ad un prezzo accessibile. Con il sistema attuale (LIHTC), per contro, le grandi imprese multimiliardarie internazionali comprano questi crediti dall’imprenditore non profit pagandoli meno del loro pieno valore, ricavando poi un profitto dall’intero ammontare del beneficio fiscale. Il developer non profit utilizza successivamente gli importi di danaro corrisposti dalle imprese per realizzare i progetti di alloggi a prezzi accessibili. Le grandi imprese sfruttano questo sistema in quanto accumulano un credito d’imposta a basso prezzo, mentre sono i contribuenti in definitiva a compensarne la differenza. Secondo l’Urban-Brookings Institute Tax Policy Center, il sistema attualmente in vigore costa ai contribuenti americani circa 9 miliardi di dollari l’anno. I progetti sovvenzionati al 100% nella maggioranza dei casi hanno la priorità su altri criteri di assegnazione più innovativi; tuttavia quasi tutti i progetti di housing sociale negli ultimi decenni sono stati sviluppati da gruppi comunitari non profit; benché questi abbiano già svolto un ottimo lavoro, è necessario che avvenga un cambio di passo per far fronte alla crescente domanda di alloggi a costi contenuti e all’esigenza di rivitalizzare i quartieri.

L’edilizia abitativa inclusiva trasferisce gran parte dell’onere fiscale dei contribuenti destinato allo sviluppo e alla gestione di alloggi a costi accessibili, dal settore pubblico a quello privato. Questo significa che le abitazioni a prezzo di mercato dovrebbero prevedere un certo numero di unità riservate a prezzi abbordabili per famiglie a basso reddito. L’insieme delle unità immobiliari, a prezzo di mercato e a prezzi convenienti, accomunerebbe persone di diverse classi sociali, etnie e origini, ravvivando e arricchendo in tal modo i rapporti sociali. Nel libro The Well-Tempered City, Jonathan Rose precisa che questa visione dà maggiore protezione e benessere ai residenti, grazie alla distribuzione equa di risorse e al mantenimento dell’equilibrio tra il naturale e il costruito.

L’edilizia abitativa inclusiva non è una novità ma, a meno che non siano obbligatori per legge o richiesti dalla pianificazione urbanistica, questi progetti sono più un’eccezione che la norma, in quanto le normative del governo favoriscono il sistema pubblico di credito d’imposta per finanziare gli alloggi a prezzi calmierati tramite i gruppi comunitari non profit. Gli sviluppatori privati, di solito, li evitano a meno che un accordo per questo tipo di sviluppo non li obblighi a prevedere unità inclusive. Privi di incentivi finanziari, questi alloggi sono raramente redditizi e purtroppo sostengono il pregiudizio di comportare la svalutazione della proprietà: essi sono dunque lontani dal raggiungere il loro pieno potenziale e un impatto positivo sulla città. Per risolvere la questione dell’edilizia agevolata sono necessarie norme più innovative che consentano alle comunità di svilupparsi con maggiore densità, concentrazione e in altezza.

Nel gennaio 2020, per esempio, gli elettori californiani hanno approvato un progetto di legge che, grazie a tre modifiche apportate alla legge attuale, permette la realizzazione di progetti includenti alloggi a prezzi accessibili più densi e sviluppati in altezza. Conosciuto come AB1763, è uno dei 20 progetti di legge sull’edilizia abitativa approvati dal 2019 dal governo della California, ognuno dei quali affronta con un approccio diverso la crisi abitativa dello stato. Questo progetto di legge è un piccolo passo in avanti, ma sono necessari ulteriori incentivi per stimolare uno sviluppo a maggiore densità. La soluzione per poter allocare, in maniera economica, più persone è “Dense-City”.

Nell’industria di settore è un luogo comune affermare che gli americani odiano la densità. Per molti questo termine evoca immagini di progetti pubblici di housing costruiti male e distretti finanziari privi di infrastrutture e servizi, oltre al timore di sovraffollamento, alti livelli di criminalità e perdita di privacy. Secondo una relazione dell’Urban Land Institute (ULI) dal titolo “Density: Drivers, Dividends and Debates” la parola “densità” si collega a un’immagine negativa, spesso usata come indicatore del valore dei modelli di sviluppo. Per alcuni una bassa densità equivale a un’elevata qualità ambientale, per altri evoca invece un ambiente insostenibile caratterizzato da un alto consumo energetico e infrastrutture inefficienti. Per alcuni l’alta densità causa sovraffollamento e bassi standard di vita urbana, per altri crea dinamicità e consente facili accessi a un’ampia gamma di beni e servizi. Il problema in realtà è molto più complesso, in quanto la densità è soltanto uno tra i tanti parametri per misurare benessere e vivibilità (ad esempio logistica di prossimità, connessione alla rete viaria, diversità di tipologie edilizie e buona progettazione).

Data la crescita della popolazione urbana a livello mondiale, una densità ben pianificata e gestita in modo appropriato può rappresentare un mezzo per soddisfare la domanda sempre più pressante di alloggi a prezzi accessibili. Una densità positiva non significa impilare unità abitative una sull’altra ma unire le persone; invece di immaginare la densità come un numero astratto di tot unità abitative per acro, consideriamo quante persone siano in grado di costruire grandi città. Walter Chambers scrive in un articolo intitolato “Density Isn’t a Dirty Word” che dovremmo considerare la densità quale elemento di connettività sociale e interscambiabilità tra individui, e che si inizia a vedere tutto in un’ottica diversa se si valuta il successo di una pianificazione comunitaria partendo dall’importanza del dinamismo che caratterizza la rete degli scambi sociali. Lisette van Doorn, AD di ULI Europe, afferma che nella maggior parte dei casi la densità è la soluzione migliore per favorire cambiamenti economici e la crescita della popolazione, per determinare un ritorno ottimale in funzione della società e dell’ambiente, in quanto crea un valore che può essere sfruttato e condiviso rendendo le nostre città più flessibili.

In Vita e morte delle grandi città. Saggio sulle metropoli americane Jane Jacobs afferma: «Le densità sono troppo alte o troppo basse quando ostacolano la diversità urbana invece di favorirla». Il suo suggerimento è di pensare la densità come pensiamo calorie e vitamine: le giuste quantità sono quelle che svolgono il loro compito. In ogni caso, il modello applicato nelle periferie, cioè costruire meno di 10 unità abitative per acro, non è né indicato, né economicamente vantaggioso, né sostenibile. Le comunità dovrebbero costruire almeno 20 unità per acro e prevedere più spazi aperti pubblici e privati dato che con meno di 15 unità non viene neppure previsto un sistema di trasporto pubblico accettabile. Ciò sarebbe realizzabile attraverso una progettazione di qualità e con l’idea che gli architetti dovrebbero contribuire in maniera determinante alla soluzione ottimale. Essi, di fatto, dovrebbero dimostrare con il loro talento a sviluppatori e scettici come una densità più alta, meno parcheggi e più spazi aperti contribuirebbero a una migliore vivibilità urbana e allo sviluppo di un sistema viario più efficiente. Possiamo collaborare con le figure chiave della città su progetti dimostrativi e proposte di ricerca per risolvere problemi apparentemente ingestibili. La storia dimostra che il successo di una iniziativa d’avanguardia deriva da empatia, volontà di rischiare, spirito collaborativo e rispetto per l’umanità. Gli architetti possono, e dovrebbero, collaborare con pianificatori, autorità cittadine, politici e legislatori affinché i piani regolatori possano adattarsi a nuovi utilizzi e nuovi metodi per sviluppare un diverso modo di convivenza. Creare delle connessioni tra elementi diversi per creare un’unica entità è ciò che fanno architetti e urbanisti: pertanto la progettazione urbana può promuovere il cambiamento sociale.

Un buon progetto di edilizia sociale richiede una visione e una tecnica rigorosa, intelligenza formale e comprensione del contesto sociale, capacità decisionali su scale diverse e livelli di dettaglio progettuale diversificati, tutti elementi necessari a risolvere una questione architettonica molto impegnativa. Dalla scala di un’abitazione su due piani a un appartamento in un condominio con cortile comune esistono delle opzioni che i pianificatori chiamano “vie di mezzo mancanti”, in quanto le ultime in tal senso risalgono agli anni ‘40. Si tratta di alternative di alta qualità e media densità, facilmente finanziabili, che raggiungono la soglia minima di densità utili allo sviluppo di una struttura viaria. I progettisti possono motivare i princìpi alla base delle tipologie e dei pattern edilizi che qualificano gli ambienti abitativi e relativi stili di vita. Qui l’impegno progettuale si focalizza sul riuscire a coniugare spazi stratificati pubblici, semi-pubblici e privati. Uno spazio stratificato, abilmente inserito in un’architettura del paesaggio, unitamente a tipologie volumetriche e composizioni prospettiche, è fondamentale per assicurare un equilibrio tra privacy, comunità sociale e densità in un contesto unitario coerente.

Un breve studio sulle politiche per densificare Los Angeles

A Los Angeles la mancanza di una “buona” densità è in gran parte responsabile del suo essere una delle città al mondo in cui l’edilizia residenziale è meno accessibile. Oltre all’elevato costo degli alloggi Los Angeles conta più di 60.000 senzatetto che vivono per strada, con un incremento annuo del 12%. Il problema è diventato talmente grave che negli ultimi anni l’elettorato cittadino ha approvato due stanziamenti da un miliardo di dollari specificamente per far fronte alla questione dei senzatetto e alla crisi degli alloggi nella contea. I residenti sentono fortemente l’esigenza di soluzioni che da un lato portino a un incremento nella costruzione di residenze e dall’altro riducano i costi. Dal momento che gli alloggi ad alta densità sono vietati nella zona industriale del centro città e resi impossibili dal bassissimo indice di sfruttamento ammesso sui boulevard commerciali, è stato estremamente difficile finora offrire alla città progetti adeguati, di buona qualità e a prezzi inferiori. La soluzione è evidente e davanti agli occhi degli amministratori cittadini e dei sostenitori di nuove politiche abitative, ma anziché centrare il problema considerando nella loro globalità le questioni legate alla densità e alla zonizzazione vigente, sia gli uni che gli altri hanno adottato un approccio frammentario e meno efficace.

Per più di un secolo Los Angeles è cresciuta con poche regole. Nelle aree commerciali la zonizzazione prevedeva un indice di sfruttamento di 3:1, in base al quale nel costruire si poteva occupare una superficie pari al triplo dell’area edificabile. Nel 1986 questo rapporto fu portato a 2:1 con la “Proposition U”, proposta dai consiglieri Zev Yaroslavsky e Marvin Braude, con l’obiettivo di evitare un eccesso di traffico nelle periferie della San Fernando Valley. L’iniziativa si applicava a tutta Los Angeles, dimezzando la dimensione dei nuovi edifici concessi su circa il 70% dei 29.000 acri di proprietà commerciali e industriali della città. In breve tempo l’indice di sfruttamento passò poi a 1,5:1; all’epoca questo fu il tentativo di porre un limite agli sviluppi futuri più capillare mai effettuato nella storia della città. La sua approvazione diede il via alla crisi abitativa attuale di Los Angeles, dimezzando da un giorno all’altro la densità ammissibile. Ecco perché Los Angeles viene vista come un’enorme città tentacolare, con tragitti estremamente lunghi e alloggi costosi. Tuttavia, nonostante le iniziative volte a ostacolare l’aumento di densità a Los Angeles, possiamo ancora sperare in un incremento degli alloggi, soprattutto di quelli a prezzi accessibili.

La Proposition U deve essere abrogata. Così facendo, e ristabilendo l’originario indice di sfruttamento di 3:1, la città riceverà un forte impulso che potrà aiutare a risolvere la crisi degli alloggi a prezzi accessibili. In questo modo si stima che potrebbero essere costruite centinaia di migliaia di unità abitative a basso costo per i contribuenti, producendo fondi da destinare alla realizzazione di parchi, scuole, infrastrutture e all’espansione della rete di trasporto pubblico. Questo cambiamento potrebbe dare il via a una serie di sviluppi residenziali orientati al transito all’interno di quartieri pedonali e ricchi di servizi, e permettere di convogliare gli investimenti privati verso aree non ancora riqualificate.

Ci sarebbero comunque delle condizioni da rispettare: in cambio della revoca della Proposition U, e del conseguente raddoppio della densità oggi ammissibile, gli operatori immobiliari dovrebbero essere obbligati a includere nei loro progetti un 20-25% di alloggi a prezzi accessibili. Questa condizione a tutti gli effetti offrirebbe progetti di housing con il giusto mix sociale diffusi più uniformemente nella città.

Gli elettori stanno diventando sempre più consapevoli dei costi elevati delle abitazioni, del problema del vagabondaggio e dei benefici legati a una città più compatta. Nel 2015 con i due terzi di voti favorevoli è stata approvata la “Measure JJJ”, che ha modificato il regolamento comunale al fine di dare vita a un piano per creare comunità orientate al transito (Transit Oriented Communities) attraverso una serie di nuovi incentivi per la costruzione di alloggi sociali con accesso immediato al trasporto pubblico. La proposta elettorale richiedeva inoltre al Los Angeles City Planning di istituire delle linee guida per tutti gli sviluppi residenziali distanti meno di mezzo miglio da una fermata principale dei trasporti pubblici. In un solo anno dall’entrata in vigore del provvedimento, sono state presentate 112 richieste per la realizzazione di progetti orientati al transito; verranno create 5.571 nuove unità residenziali di cui 1.145 a prezzi accessibili. Mentre scrivo ci sono come minimo 83 nuove richieste in sospeso.

Ridurre il costo degli alloggi

Un altro esempio positivo è il complesso di 60 alloggi inclusivi a uso misto che con Brooks + Scarpa stiamo costruendo a Valley Village, Los Angeles. Avvalendosi di una versione precedente della Density Bonus Law della California, il developer ha potuto costruire più unità abitative progettandone ulteriori 12 appositamente per famiglie a basso reddito. Questa soluzione non solo aumenterà la disponibilità di alloggi, ma permetterà ai lavoratori con un reddito basso di avvicinarsi al loro posto di lavoro e ad altri servizi all’interno di una comunità più ricca. Durante i lavori, contrariamente a quanto accaduto per tutti gli altri progetti di alloggi al 100% accessibili realizzati dallo Studio negli ultimi 20 anni, i supporter di NIMBY o BANANA non hanno protestato. I progetti effettivamente inclusivi si integrano meglio nelle loro rispettive comunità e sono soggetti a meno attenzione pubblica. Il risultato? Più alloggi di qualità, costruiti più rapidamente, meno costosi e migliori per la comunità.

Un altro problema importante legato agli alloggi a prezzi accessibili è dato dai costi sempre più elevati, non solo di costruzione ma dell’intero processo di sviluppo. La domanda di come ridurre i costi è una costante, e gli architetti sono ormai abituati a sentirsela porre sin dalla fase propositiva del progetto. Stranamente quando viene posta questa domanda tutti guardano subito agli architetti, come se fossero i detentori di una formula magica per ridurre i costi. Certo, gli architetti sono in parte responsabili del costo di un edificio, ma il fattore che vi contribuisce maggiormente sono le norme che regolano gli alloggi sociali finanziati pubblicamente. La soluzione al problema è da ricercarsi nei legislatori, non in modalità costruttive economiche, non nei prefabbricati o nelle dimensioni del progetto; questi aspetti aiutano, ma il metodo attuale di finanziamento tramite crediti d’imposta è la ragione principale alla base della notevole diseguaglianza di costi tra alloggi a prezzi accessibili e di mercato della stessa tipologia e scala.

Il nuovo sviluppo multifunzionale Estrella Vista composto da 84 unità e servito da trasporti pubblici a Emeryville (in California, vicino a Oakland e dal lato opposto della baia rispetto a San Francisco) dimostra quanto appena detto. Il costo totale ammonta a 64 milioni di dollari, ovvero 700.000 dollari per unità. A San Francisco, per 1950 Mission Street, uno dei più vasti progetti di residenze sociali, ciascuna unità costa più di 600.000 dollari; sono cifre esorbitanti, ma non inusuale. A un prezzo più ragionevole troviamo le 32 unità abitative 100% accessibili di un progetto in costruzione a Venice (CA), a 355.000 dollari l’una; una cifra ancora alta, che rappresenta però un passo nella giusta direzione. Gli sviluppatori privati sono in grado di costruire nuove residenze multifamiliari a costi molto più inferiori. Perché?

In primo luogo, gli alloggi sociali finanziati con fondi pubblici devono essere realizzati rispettando le prevalenti direttive salariali, mentre gli sviluppatori privati si basano su salari a condizioni di mercato. Per questa ragione i primi andranno a costare il 20% in più rispetto a progetti simili realizzati a prezzo di mercato. Inoltre se un progetto con alloggi a prezzi accessibili comprende anche parcheggi o spazi commerciali, questi avranno un prezzo ancora più alto a causa dei salari stabiliti per legge. Nel progetto a Venice il costo aggiuntivo per questi oneri è stato di oltre 1 milione di dollari. Tra i tanti fattori che ostacolano la riduzione dei costi ci sono le innumerevoli e spesso contrastanti norme per il finanziamento. Dal momento che molti alloggi sociali necessitano di più fonti di finanziamento (spesso anche cinque, otto, ma anche di più) e che ciascuna ha i propri requisiti, ogni progetto deve prevedere una lunga lista di elementi specifici che non sono invece necessari operando a prezzo di mercato. Questo contribuisce ad allungare le tempistiche e ad aumentare i costi. È necessario quindi stabilire, per tutti i progetti di housing sociale, delle politiche di credito onnicomprensive, pratiche e univoche. In questo modo la situazione diventerà più chiara, e le fasi di progetto ed edificazione saranno semplificate. Di conseguenza si ridurranno anche i costi.

L’impedimento maggiore alla risoluzione della crisi degli alloggi, una questione fondamentale di cui nessuno vuole parlare, sono i requisiti per l’accessibilità, inclusi nell’Americans with Disabilities Act (ADA). Ovviamente le abitazioani dovrebbero essere accessibili a tutte le persone con disabilità, ma quale percentuale di unità deve essere conforme all’ADA?

Secondo il Center for Disease Control and Prevention (CDC) degli Stati Uniti e il Rapporto mondiale sulla disabilità dell’Organizzazione Mondiale della Salute, il 26% degli adulti americani e circa il 15% della popolazione mondiale hanno una disabilità; dal 2 al 4% hanno notevoli problemi di autonomia funzionale. In genere si potrebbe pensare che la previsione di alloggi accessibili ai disabili dovrebbe avvicinarsi in base percentuale alla domanda effettiva. Proviamo a capirlo con un’analogia: immaginate un garage pubblico dove ogni parcheggio è contrassegnato dal simbolo per i disabili ma rimane disponibile anche per i non-disabili. Non ha molto senso sprecare dello spazio costruendo dei posti riservati ai disabili e poi permettere a chiunque di parcheggiarvi. Pensate anche a quanto costerebbe rendere accessibili tutti i posti auto nel garage. Un parcheggio conforme all’ADA richiede circa il 25% di spazio in più rispetto a uno tradizionale. Questo scenario sembra insensato, eppure questo è esattamente ciò che viene richiesto per gran parte dei progetti per alloggi a prezzi accessibili. Tutte le unità nei complessi residenziali devono avere maggiori dimensioni per diventare accessibili in caso di bisogno, tuttavia non è necessario essere disabili per viverci. Questo requisito è un problema che deve essere preso in considerazione se si vogliono seriamente ridurre i costi. Possiamo, e dovremmo, fornire abitazioni a ogni settore della nostra comunità, ma questo non significa che tutte le unità devono essere fatte su misura secondo tali specifiche. Significa semplicemente che devono essere di pari qualità.

Anche se il 50% delle abitazioni fosse tenuto a essere accessibile alle persone con disabilità, si potrebbe tranquillamente soddisfare la richiesta risparmiando soldi per la realizzazione e spazio prezioso. Così come accade nei parcheggi, anche le residenze accessibili dovrebbero stare vicino all’ingresso degli edifici, alle dotazioni comuni e ad altri importanti servizi sociali, riducendo la necessità di trasporto verticale e altre costose modalità di accesso. In questo modo potremmo gestire meglio i soldi dei contribuenti, potendo così finanziare più unità a prezzi abbordabili e rendere l’edilizia sociale più conveniente e accessibile.

Paradossalmente l’elevato costo delle abitazioni influisce negativamente anche sulla qualità della vita nelle comunità più agiate. Se da un lato a Santa Monica (CA), Sarasota (FL) e altre città simili in America ci sono numerose offerte di lavoro, dall’altro nelle realtà più agiate risulta sempre più difficile attrarre infermieri, insegnanti e altri lavoratori essenziali per la sopravvivenza della comunità perché questi non possono permettersi una casa in quel contesto. Non apportare alcuna modifica a queste politiche errate e superflue porta a un continuo fallimento. Comunità, governi e progettisti devono trovare insieme nuovi metodi per ridurre il costo degli alloggi.

Sticks and Stones

Che si tratti di un riparo temporaneo o di una casa di lusso, tutti noi abbiamo bisogno di un posto in cui vivere. Una città più compatta, con uno spirito di equità sociale e un’alta qualità della vita, è il punto di partenza per garantire la sopravvivenza del pianeta a beneficio delle generazioni future. In Sticks and Stones: A Study of American Architecture and Civilization Lewis Mumford, uno dei più importanti storici americani, scrisse che come il nostro sviluppo in campo architettonico è legato alla storia della nostra civiltà, affermando che consentiamo alle nostre istituzioni e organizzazioni di operare alla cieca. Secondo Mumford il futuro della nostra civiltà dipende dalla nostra abilità nel selezionare e gestire il nostro lascito dal passato per modificare i comportamenti e le abitudini del presente, e per prevedere nuove forme su cui concentrare le nostre energie.

Il successo dell’architetto in conclusione dipende dalla sua abilità di guidarci verso un mondo migliore aiutando coloro che sono ignorati dalla società. Gli architetti hanno un'influenza maggiore, e risultano più interessanti, dal momento in cui si dedicano e sono in sintonia con la vita di tutti e gli spazi della quotidianità.

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