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Riallacciare connessioni

Michel Rojkind

Riallacciare connessioni
Scritto da Michel Rojkind -

«Qui sono le connessioni», affermava il musicista americano David Byrne tenendo tra le mani un modellino di cervello durante il suo tour recente “American Utopia”.

Alcuni studi - spiegava - affermano che alla nascita il cervello dei neonati contiene circa 100 miliardi di neuroni, ovvero tante cellule nervose quante le stelle della Via Lattea. Durante i primi anni di vita il cervello affronta numerosi cambiamenti. Più maturano i neuroni, più si creano sinapsi. Il numero delle sinapsi per neurone passa da 2.500 alla nascita a 15.000 a 2 o 3 anni di età. Il cervello elimina le connessioni meno, o mai, utilizzate come parte del processo naturale del suo sviluppo. Quindi, cosa stiamo eliminando? Quali connessioni stiamo perdendo? In un mondo in cui cerchiamo di riparare tessuti sociali disgregati attraverso un’architettura pensata come una piattaforma, e in cui «ciò che abbiamo costruito finisce per costruire noi», dobbiamo chiederci dove sono le connessioni.

Crescendo a Città del Messico, che oggi conta 22 milioni di abitanti, si impara a contare su ogni sinapsi creativa come meccanismo di sopravvivenza. Si è costantemente messi alla prova come individui, anche solo camminando per strada. Le connessioni rappresentano le capacità di sopravvivenza, più se ne ha meglio è.

Il Messico, per via del suo sistema collassato, è uno di quei posti in cui le persone sono intraprendenti per necessità. Pensare la città come un cervello, è come pensare che una perdita di neuroni causata da un collasso del sistema incoraggi lo sviluppo di una città informale con sempre più sinapsi. Questo Messico informale si manifesta a più livelli: lo si vede spuntare al risveglio ogni mattina. Tra i migliori solisti a offrire questo tipo di performance ci sono i venditori di strada che qui riescono a gestire i loro interessi, perché sanno sfruttare con successo alcune caratteristiche strutturali tipiche del Messico.

I mercati informali riempiono le strade colorandole di un rosa sgargiante; i cuida coches - le persone che tengono d’occhio la macchina mentre si è impegnati a sbrigare commissioni - trascorrono le loro giornate sulla strada, che diventa il loro ufficio durante il giorno, talvolta anche la notte. Già di primo mattino, davanti alle bancarelle che cucinano quesadilla o taco, si formano code all’apertura...

Più se ne è consapevoli e ci si presta attenzione, più si realizza che qualsiasi cosa stiano vendendo per strada è il riflesso diretto di un bisogno tangibile in quel determinato spazio.

Queste sinapsi umane che reagiscono ai desideri della comunità sono naturali, vive e pulsano al ritmo degli abitanti della grande metropoli.

Riflettere su come questi desideri diventino reali mi ha indotto a compiere uno straordinario viaggio di apprendimento, che vorrei ripercorrere qui, tra i progetti elaborati in studio e poi costruiti. Ho osservato che ovunque ci sono doti e talenti ignorati o trascurati che aspettano solo di essere compresi e valorizzati. In architettura queste preziose sinapsi che contribuiscono a un futuro costruito responsabilmente sono chiamate “mestieri”.

Il mestiere del costruire artigianale… Nel 2001, quando stavo progettando la Casa PR34 la mia intenzione era di dotarla di una finitura in metallo fluida, senza i normali pannelli di rivestimento di facciata. Avevamo immaginato due eleganti strutture interagire con disinvoltura tra loro come due danzatrici. Dovevo cercare altrove la manodopera adatta per questo lavoro, prescindendo dal mondo dell’edilizia. Infatti queste maestranze le abbiamo trovate in strada, nei carrozzai che lavoravano su macchine distrutte rendendole come nuove, artigiani che amavano il proprio lavoro e ne andavano fieri. L’idea che questo impegno si potesse trasferire nella costruzione di una casa progettata da me mi entusiasmava. Ma non era solo questo, anzi, la passione per il lavoro manuale di questi lavoratori ha trasformato l’intero processo di costruzione, arrivando a interessare il modo di vivere dei clienti.

Davanti a un edificio dalla forma insolita ci si chiede generalmente chi ci vive, chi ne è il proprietario. Io invece mi chiedo chi ha piegato quel legno o tagliato quella trave, chi ha creato quella curva e come. Posso percepire l’intervento umano dalla manifattura di ogni singolo pezzo. L’energia che si sprigiona dalle mani dell’artigiano è racchiusa nell’opera come un segno dei tempi. Penso che questo abbia contribuito al successo della casa PR34. La mia visione originale di una danza era vicina alla realtà, ma la musica era data dalla bravura di chi ha realizzato il palco.

Ogni progetto mi ha insegnato l’importanza culturale dell’architettura, dall’utilizzo della manodopera locale per produrre elementi costruttivi all’idea di includere spazi pubblici in edifici che di norma non li prevedono. È possibile progettare un supermercato o un cinema in modo tale da stimolare il contatto umano e un senso di appartenenza che vada ben oltre la dinamica dell’acquisto? Gli aspetti culturali dell’architettura e il rapporto tra le persone non possono essere componenti aggiuntive. Assumere manodopera locale per la produzione di elementi costruttivi simboleggia, in ogni progetto, un atto comunitario. Mobilitare e coinvolgere cittadini ed esperti locali utilizzando l’artigianato tradizionale nella realizzazione del progetto vuol dire permeare di cultura ogni suo aspetto. Le persone possono vedere se stesse o le proprie connessioni attraverso il loro fare artigianale. Vivere in un’epoca fatta di immagini digitali aumenta il bisogno di concretezza e realtà.

«L’intervento artigianale rallenta il processo del singolo elemento incrementando la forza creativa dell’impianto. Le tecniche tradizionali hanno bisogno di più tempo, ma mantengono e arricchiscono l’importanza delle connessioni umane». Coinvolgere le persone stimolando la loro curiosità vuol dire generare una potente forza di cambiamento e dinamicità. Se si considerasse la comunità intera come elemento architettonico in ogni fase progettuale, avremmo risultati più soddisfacenti e socialmente condivisi.

Da architetto a consulente fidato… Mentre lavoravo per la Nestlé nell’ambito di un concorso privato a inviti...

L’incarico progettuale richiedeva, all’interno della preesistente fabbrica di cioccolato che i bambini potevano visitare con la scuola, una scenografia atta a far loro capire meglio cosa accadeva al suo interno. Mi ricordo di aver chiesto ai miei collaboratori: «È tutto qui quello che possiamo fare? Possiamo avvicinare ulteriormente questo progetto alla comunità? Un progetto finanziato da una persona o da un’azienda può cercare di coinvolgere l’intera comunità e avere al contempo un impatto positivo sull’ambiente circostante?»

Abbiamo effettuato una ricerca sui musei del cioccolato in Messico e, con nostra sorpresa, abbiamo scoperto che non ne esistevano. Senza avere ben chiaro cosa stavamo effettivamente facendo ci siamo presi il rischio di fare una proposta più ampia che avrebbe incluso il “museo del cioccolato” della Nestlé.

Non solo non abbiamo seguito le direttive di progetto ma le abbiamo totalmente riprogrammate, vincendo poi il concorso. La decisione di assumere la responsabilità di un intervento a tutto campo ci ha promosso da architetti a “consulenti fidati”, consentendoci di interagire con il cervello dell’intera operazione. Abbiamo così sperimentato l’importanza di una relazione significativa con il committente, cosa che comporta la condivisione delle scelte e la responsabilità di redigere il miglior progetto possibile.

L’architettura può diventare una piattaforma di rigenerazione sociale? La maggior parte dei progetti da noi completati finora ci ha coinvolto in qualità di consulenti dei nostri clienti, dandoci la possibilità non solo di scegliere materiali diversi da quelli tradizionali, ma anche di ricomporre strutture sociali che nel corso degli anni erano andate distrutte all’interno delle nostre comunità.

Progettare per ottenere risultati non scontati

«Rimettere mano laddove falliscono governi e urbanisti».

Interrogarsi su ciò che un edificio può rappresentare richiede una discussione più approfondita che va oltre le figure dell’architetto e del committente; più esperti specializzati saranno coinvolti, migliore sarà il risultato. Per modificare le indicazioni o gli obiettivi originali del cliente collaboriamo con sociologi, antropologi, paesaggisti, urbanisti, politici, avvocati, esperti di finanza, ecc. Con il concorso di questi consulenti abbiamo individuato le migliori soluzioni che fossero allo stesso tempo a favore della comunità, anche in progetti quali il centro commerciale Liverpool Interlomas, ubicato in una periferia di Città del Messico mal collegata con i mezzi di trasporto pubblici, dove questa assenza sommata alla mancanza di spazi destinati ad un uso collettivo e di persone che camminano per strada rendeva il tutto assolutamente inumano.

Oltre alla progettazione della facciata - realizzata passando direttamente dalla lavorazione parametrica del modello in 3D al processo di fabbricazione, eludendo la metodica dei disegni in 2D - ci siamo chiesti cosa avremmo potuto fare in più per la zona circostante. Con il cliente abbiamo cercato di pensare a un uso alternativo della copertura, solitamente occupata da impianti di grandi dimensioni. L’abbiamo liberata e convertita in un’area verde per eventi con un piacevole spazio di ristoro coperto, una piacevole oasi di calma. Un riscontro tangibile di come questi elementi siano riusciti a ripristinare le relazioni sociali viene dal fatto che le persone amano ritrovarsi in questo spazio pensato per loro; come conseguenza il centro commerciale ha cambiato gli orari di apertura rimanendo aperto durante il fine settimana fino alle 2 del mattino.

Come ogni architetto amo lavorare con la fabbricazione digitale e il design computazionale, ma in quanto cittadino di Città del Messico credo che, a prescindere dalla tecnologia utilizzata, dobbiamo far sì che ogni cittadino senta i nostri spazi familiari come luogo di permanenza o di incontro. La tecnologia in realtà fa parte di questa esplosione di improvvisazione creativa dell’essere umano su cui è costruita tutta la civiltà. Creare per necessità, essere creativi per necessità, sopravvivere come creatività. Tutti i nostri spazi dovrebbero essere in grado di riconoscere e sostenere questa esperienza di creatività. Quest’ultima dovrebbe stimolare la potenzialità delle persone e il loro impulso a creare. È per questa ragione che in studio parliamo spesso di passare «dal design digitale alla fabbricazione locale».

Se vi è capitato di sentirmi parlare o di conversare con me, avrete notato che ripeto spesso questa frase: «Perché non possiamo invitare le persone a fare questo o quello?» Ovviamente questo pensiero non l’ho inventato io, ma le mie osservazioni sul mondo che mi circonda mi hanno dimostrato che la principale sfida dell’urbanistica e dell’architettura sta nel creare il giusto imprinting. Come interloquire con le persone in quanto portatrici di manualità? Come convincerle a impegnarsi nel duro lavoro del futuro? Non si tratta di inventare chissà quale metodo o strategia, si tratta di un semplice invito, un’espressione di rispetto, di educazione, di comprensione, valori in cui credo fermamente. Quando per curiosità mi avvicino a qualcuno per strada mostro la mia considerazione e mi informo sulla sua attività. Ottengo così, senza alcuna difficoltà, un’infinità di informazioni sul suo mestiere e modo di sentire che può poi portare a un rapporto amichevole, avendo trovato un punto di intesa. In tutta la mia vita a Città del Messico ho notato che coloro che lavorano duramente per sopravvivere turbano le élite più istruite, anche se queste persone che cercano di sopravvivere rappresentano la voglia di vivere; è proprio questa la forza vitale che ci proponiamo di introdurre nel nostro lavoro.

«In ogni caso l’artigianato, il lavoro manuale, rimarranno sempre vivi».

Prendete il piccolo supermercato che abbiamo costruito a Città del Messico in un quartiere con evidenti problemi di sicurezza alimentare e con persone a rischio povertà mescolate ad altre più agiate, ma frustrate dal dover affrontare ogni giorno un lungo tragitto casa-lavoro per provvedere alla loro famiglia. Il nostro progetto voleva non solo invogliare le persone ad andare al supermercato per fare la spesa, ma anche coinvolgerle nella coltivazione e raccolta dei prodotti acquistati. Abbiamo realizzato in copertura un ampio terreno agricolo e ampliato lo spazio sia per stimolare discussioni e riflessioni sia per la vendita. In questo modo si collegano strutture formali con quelle informali che tanto pervadono la cultura messicana. Il progetto è stato accolto con entusiasmo dagli abitanti e immediatamente abbiamo ricevuto ciò che credo sia uno dei regali più belli per un architetto: migliaia di persone hanno cominciato a utilizzare il supermercato creando attività die non avevamo nemmeno pianificata Questo luogo è diventato un centro per la comunità, un posto dove organizzare feste e riunioni di famiglia. Gli abitanti della zona lo hanno eletto a loro spazio. Come la tavola “di famiglia” è, per sua natura, sacra alla tradizione messicana, cosi questo supermercato è diventato simbolo degli stessi valori, per effetto della condivisione del cibo tra le persone. Nemmeno l'intelligenza artificiale avrebbe potuto prevedere come la comunità sarebbe riuscita ad animare il nostro edificio attraverso le diverse esperienze dei singoli. E noi guardavamo entusiasti. Hanno trasformato il nostro spazio in un’enorme tavolata, dove vige il rispetto reciproco, mentre tradizioni e tecnologia sono collegate in modo totalmente naturale come fossero lì da sempre.

In uno dei progetti di cui vado maggiormente fiero “l'invito alla creatività” è diventato pervasivo. Miguel Angel Yunes Màrquez, un tempo sindaco di Boca del Rio, aveva creato un’orchestra per far nascere all'interno della comunità locale un sentimento di orgoglio. Questa orchestra filarmonica rappresenta un unicum, non solo in Messico ma in tutto il mondo, e si riunisce secondo tre linee programmatiche: una stagione annuale di concerti sintomo, performance mensili di musica da camera e un programma di sviluppo sociale dedicato ai bambini provenienti da famiglie a basso reddito, chiamato “Orquestando Armonìa”. Questo programma si concentra sull'educazione corale e orchestrale, promuovendo valori e un sentimento di eccellenza per i bambini e la comunità. Le dinamiche e le attività dell'orchestra hanno avuto un grande successo, sociale e culturale, e sottolineato la necessità di uno spazio comune in cui ospitare l'orchestra e i suoi programmi.
La nostra sala concerti ha rappresentato una grande affermazione, non di tecnologia o spettacolarità, ma del desiderio di cambiamento. Volevamo realizzare un grande spazio, sicuro e invitante, che celebrasse la manodopera artigianale di Boca del Rio. Calcestruzzo, granito e legno, nel loro insieme, mostrano che questo è un posto cresciuto grazie alla richiesta di aiuto delle persone per sopravvivere ad alcuni degli anni più difficili del nostro Paese.

Foro Boca si inserisce all’interno di un masterplan di riqualificazione di un’area degradata.
Quattro mesi prima dell’apertura il sindaco, giunto in cantiere per una visita, ha chiamato costruttori e lavoratori sul palco principale. Abituati come siamo ai nostri politici, pensavamo che avrebbe gridato contro le persone coinvolte, annunciando il rinvio del completamento del progetto o un taglio dei costi. Con nostra grande sorpresa invece i giovani musicisti della filarmonica locale sono arrivati uno ad uno sul palco suonando i loro strumenti. Indossando il giubbotto di sicurezza e l’elmetto protettivo, hanno fatto una bellissima dimostrazione di orizzontalità sociale rivolta ai lavoratori che stava a significare: “Siamo tutti uguali”, stiamo tutti lavorando per qualcosa che ha valore.
Gli operai, sorpresi, hanno interrotto il loro lavoro e si sono seduti nell’auditorium ancora incompleto. Si sono tolti il caschetto, e così i caposquadra e i manager, con elmetto bianco, si confondevano con i lavoratori, con i caschi giallo-verdi: un sottile ritorno di democrazia. La musica e la gioia di questo momento pervadevano lo spazio. Al termine del concerto, il sindaco è salito sul palco affermando che le prime note musicali suonate nell’auditorium voleva fossero dedicate alle fantastiche persone che avevano aiutato a costruirlo con la loro arte, con le loro mani.
Ecco ciò che questo concerto rappresentava, un invito rivolto a questi lavoratori ad ascoltare i primi istanti di una rinascita che loro e i loro figli avrebbero contribuito a realizzare nel Foro Boca. E stato un momento emozionante di arte, cultura, architettura e politica. Questo evento mi ha fatto riflettere su quanto viviamo nel futuro e non nel presente. Pensiamo di poter migliorare le cose in futuro, discutiamo su come questo edificio cambierà questo o quest’altro aspetto e di come una città o una nuova tecnologia ci farà avvicinare tutti, ma nel frattempo non abbiamo considerato la persona che ci sta di fronte. Abbiamo bisogno di tutto il nostro cervello se vogliamo arrivare al futuro, e abbiamo bisogno di osare e creare qualcosa di non prevedibile.

Abbiamo bisogno dell'audacia di David Byrne che, al termine del suo concerto, ha comunicato di volersi concentrare su ciò che ritiene davvero importante, presentando al suo pubblico ciò che conta realmente. «Sono le persone», ha detto, indicando con fierezza i membri della sua band che lo avevano raggiunto sul palco, e le persone applaudivano.
Le connessioni più rilevanti del cervello dovrebbero ricordarci la vitale importanza delle connessioni esterne, tra esseri umani, architetti, musicisti, venditori ambulanti dagli innumerevoli talenti e con idee geniali. Se davvero vogliamo dar vita a un cambiamento nel mondo, forse è questa la connessione.

Il futuro è adesso.

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