In un vecchio Casabella degli anni ’30 c’è un articolo dedicato a quella che un tempo veniva definita “riconfigurazione edilizia”. In esso si vedevano alcuni edifici, più che altro villini ottocenteschi, che erano stati denudati, ovvero a cui erano state tolte le facciate in laterizio, e al loro posto erano state apposte delle facciate in stile moderno, ovvero bianche, senza modanature, con finestre non proprio a nastro ma a sviluppo orizzontale. L’articolo inconsciamente preannunziava un tema che sarebbe stato fondativo nel postmoderno. Facciamo un salto indietro nel tempo. Nella seconda metà degli anni ’60 Robert Venturi dava alle stampe un libro che avrebbe rappresentato una rivoluzione nel pensiero architettonico, Complexity and contradiction in architecture. La tesi di Venturi si basava su una concatenazione logica che all’epoca appariva di grande efficacia. Per Venturi l’architettura moderna aveva fallito per il fatto di non aver accettato i due paradigmi che, se si esclude il Rinascimento più radicale, avevano da sempre nutrito l’architettura occidentale, ovvero la complessità e la contraddizione. Con i suoi modi delicati e lievemente ironici Venturi imputava ad esempio al Movimento Moderno l’aver combattuto quella scissione per così dire naturale tra l’aspetto esterno e interno di un edificio. Da ciò Venturi traeva un’importante conseguenza: se è logico accettare la scissione tra esterno e interno di un edificio allora si può pensare di far svolgere ai due ambiti ruoli diversi: l’aspetto interno si dovrebbe allora concentrare sulla vita domestica, mentre quello esterno sull’aspetto pubblico. Erano i tempi di Venturi tempi di pop art, di slogan pubblicitari, di estetica del consumo e Venturi da allora aveva iniziato a progettare edifici iper-domestici all’interno ed iper-pop all’esterno. Nonostante...
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