Interrogato su cosa fosse l’arte, Iosif Brodskij rispondeva: «null’altro che una infaticabile guerra contro i cliché». Che armi allora abbiamo per combattere quei cliché, non solo nemici dell’arte ma anche della vita? La risposta è nella tattica con cui dobbiamo affrontare questo genere di guerra. Sempre Iosif Brodskij durante una conferenza negli anni ’70, in una università statunitense in piena contestazione, provocatoriamente aveva spronato gli studenti a essere realmente anticonformisti, per cui a dismettere i vestiti hippy e “vestire il grigio”, caso mai con leggere e sofisticate note anticonformiste. Il cliché si batte quindi con l’anticonformismo studiato, calibrato, con la nota eccentrica messa al momento giusto, in definitiva con una dimostrazione di presa di distanza sia dal conformismo conforme, sia da quello anti-conformista. Pratica questa difficile nella quale gli italiani, quando non sono tromboni o populisti, eccellono. Nei primi anni Settanta la famosa mostra sul design italiano al MoMA era corredata da un catalogo in cui Emilio Ambasz riconosceva al design italiano la capacità di essere eccentrico, abilmente provocatorio, ironico, anticonformista in quanto libero dai cliché dell’anticonformismo radicale e mostrava come, in ragione di ciò, riuscisse a mantenere una ineffabilità unica, sfuggente e chiara al tempo stesso. Viene in mente allora uno dei padri nobili del design italiano, Franco Albini, che negli anni ’50 rielabora le poltrone bergère ottocentesche in rattan trasfigurandole con una ironia che rivivrà non solo in molti mobili italiani. Allora, se l’arte è la guerra ai cliché e se i cliché vanno aggirati attraverso la loro stessa reinvenzione e se gli italiani in tutto ciò sanno essere (se lo vogliono) bravi, oggi in Italia i più dotati a ribaltare...
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