Dal secondo dopoguerra in poi si è potuto osservare come la domanda di mobilità sia andata costantemente crescendo e come questa crescita si sia mantenuta inalterata nonostante lo sviluppo esponenziale della connettività online osservato in quest’ultimo decennio. In ambito urbano, questa crescita di domanda di mobilità ha determinato - fino alla fine degli anni ’80 e la prima metà degli anni ’90 - una progressiva espansione delle infrastrutture destinate al trasporto privato e, non sorprendentemente, l’automobile è diventata un sistema di trasporto di massa di tale successo da essere definita come “la superstar del XX secolo”. Gli ormai evidenti impatti negativi sulla città, derivati dall’utilizzo dell’automobile per gli spostamenti urbani, ha portato, a partire dalla fine del secolo scorso, a un nuovo approccio pianificatorio basato sulla ridistribuzione funzionale dello spazio e delle infrastrutture esistenti. Ciò ha determinando un migliore e più bilanciato utilizzo delle risorse in ambito della mobilità, finalizzato a rivedere l’ordine delle priorità fra i vari utenti dello spazio della strada e anche dello spazio pubblico, a vantaggio di modi collettivi e non motorizzati. A questo processo di ridistribuzione spaziale si stanno progressivamente sommando altri elementi di cambiamento, di cui tre particolarmente legati alle nuove tecnologie: la mobilità elettrica, i sistemi di sharing e la guida autonoma. Tutte insieme, queste innovazioni stanno inoltre aprendo nuove opzioni di mobilità, tali da rendere molto meno marcato il confine, fino a poco tempo fa molto netto, tra trasporto pubblico e trasporto privato. Cosa significa dunque per la città l’arrivo di queste nuove tecnologie? Possiamo immaginare che generino scenari di radicale cambiamento? Prendendo a prestito una riflessione di Jarrett Walker,...
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