Alfa Romeo è un vero simbolo italiano, un nome che traduce in design e nella concretezza del metallo le migliori qualità del nostro Paese. Gran stile, handling sportivo, potenza pronta, soluzioni tecnologiche attive: un cocktail di componenti dal gusto unico, un DNA che si traduce in una condotta di guida che tende a essere individuale, fuori dal coro, anche un po’ trasgressiva. E infatti dà vita a una categoria di driver di matrice quasi filosofica: l’alfista. È una storia lunga e leggendaria, dalla fondazione nel 1910 a Milano dell’A.L.F.A. Anonima Lombarda Fabbrica Automobili, all’entrata nel capitale nel 1918 dell’ingegnere napoletano Nicola Romeo, dall’arrivo di Enzo Ferrari, che convince Vittorio Jano a lasciare FIAT (dove il senatore Agnelli sta ormai trascurando le corse, dopo aver vinto tutto) alla nazionalizzazione nella rassicurante pancia dell’IRI (tra i più convinti appassionati c’è lo stesso Mussolini), dalle straordinarie carrozzerie, primi fra tutti i milanesi Castagna e Touring, alle vittorie nelle competizioni più leggendarie, le Targa Florio; e poi ancora il quadrifoglio di Sivocci, le Mille Miglia, Nuvolari e le grandi sfide contro le frecce d’argento Mercedes. Infine, dopo la guerra, la consacrazione con il dominio delle Alfette 158 e 159 di Ascari e Fangio nei due primi campionati mondiali di Formula 1 (1950 e 1951) da cui si ritira imbattuta. Da lì in poi, nonostante alcuni gioielli inarrivabili come la 33 stradale e le SZ / TZ Zagato a coda tronca, che consolidano l’inossidabile fama anche americana del marchio del biscione, inizia una misurata normalizzazione, con Arese, l’Alfasud, la cessione a FIAT e, nel 1987, il parto plurigemellare di Alfa Romeo 164 - Lancia Thema - Fiat Croma, ottimo sotto il profilo industriale (grazie a Ghidella) ma foriero dell’abbandono della trazione posteriore: una scelta mai...
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