La trasformazione che ha investito Torino nell’ultimo ventennio, tutt’oggi in corso, offre l’occasione per riflettere sul rapporto tra architettura, forma urbana, gestione territoriale e carattere di una città, in un’epoca in cui la disciplina dell’urbanistica, per la prima volta dopo la seconda Guerra mondiale, torna ad essere contesa tra diverse professioni (G. Zucconi, La città contesa. Dagli ingegneri sanitari agli urbanisti (1885-1942), Jaca Book, 1988, in cui viene individuato, nel periodo immediatamente precedente alla seconda Guerra mondiale, il momento in cui l’architetto - nella forma specializzata dell’urbanista - afferma in maniera definitiva il proprio primato nel disegno della città).
Contesto
La reinvenzione della città che interessa Torino oggi non è un episodio nuovo. Nei quasi cinque secoli passati dalla sua entrata nel dominio del Ducato di Savoia, ha cambiato più volte struttura e vocazione, sempre restando protagonista su scala europea: da città minore post medievale a moderna città-corte ducale (e centro economico e culturale), da capitale riunificatrice d’Italia a città industriale dominante, fino all’ultima, attuale trasformazione strategica che vuole farne una città dei servizi e della ricerca.
È opportuno sottolineare come solo la prima delle trasformazioni sia nata da un evento in positivo, mentre le altre sono conseguenza della crisi della vocazione precedente. In ognuna di queste fasi di passaggio e trasformazione (appunto le crisi), il venir meno del precedente principio ordinatore (tipico della struttura torinese è la presenza di una vocazione primaria forte) aveva generato vuoti fisici e funzionali in cui dinamiche latenti, apparentemente secondarie e accessorie, sono poi cresciute fino a diventare le nuove...
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