Le Alpi sembrano essere diventate la palestra per fare esercizio di buona architettura. Forse sarà il fatto che i paesaggi sono da mozzafiato, forse sarà la necessità di dovere garantire performance ragguardevoli a livello di strutture e finiture, forse sarà l’attenzione ambientale richiesta da turisti sempre più consapevoli, di certo è che qualcosa sta avvenendo e l’architettura alpina sta diventando una punta di diamante nell’ambito dell’architettura contemporanea. Non che non fosse così già da prima; ne abbiamo testimonianze, praticamente, da quando le Alpi sono state scoperte dal Grand Tour, quando l’architettura vernacolare ha cominciato ad essere studiata, compresa, interpretata e ammirata per quelle soluzioni tecnologiche perfette nate dalla conoscenza empirica e dal dover trovare soluzioni efficaci alle condizioni inospitali tipiche dell’alta montagna. Quando, dopo due secoli, al turismo d’élite si è affiancato il turismo di massa, anche la montagna ha subito l’assalto del cemento e l’abbruttimento di un’architettura che, dimenticando le ragioni di volumetrie disegnate in accordo con la Natura e di stratigrafie materiche inventate dalla Storia e giocando solo su pochi archetipi sterili e miopi, ha uniformato l’arco alpino dalle Alpi Marittime alle Giulie senza una vera ragione se non l’occupazione di suolo e il fare affaristico. In questi ultimi anni, forse perché la pianura ha già ceduto tutto il possibile, si torna a guardare alla montagna e a tutto quello che ha da insegnarci. Si rileggono le architetture, non tante ma notevoli, che grandi maestri come, ad esempio, Carlo Mollino o Edoardo Gellner ci hanno lasciato e si ritorna a considerare questo ambiente così estremo e al tempo stesso così familiare - chiunque abiti in Italia settentrionale “sente” di essere circondato...
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