Facendo ricorso alla nostra recente memoria collettiva in materia di architettura, mai nessuno aveva ricevuto così tanti premi e riconoscimenti con un bagaglio di lavori relativamente “leggero” come Alejandro Aravena. E questo prim’ancora di essere nominato curatore della 15. Biennale di Architettura di Venezia, per la quale ha scelto un titolo - Reporting from the Front - che è un vecchio gioco di parole legato al mondo militare. Anche la locandina è davvero indovinata, con l’immagine dell’archeologa tedesca in piedi su una scala in alluminio, che studia le linee di Nazca nel deserto peruviano. Difatti Aravena sa usare molto bene i mezzi di comunicazione, essendo lui stesso il prodotto di uno “tsunami mediatico”. Parla in maniera chiara, diretta e coinvolgente. Tuttavia la direzione della Biennale di Venezia sin dagli esordi trent’anni fa è stata assegnata seguendo altri criteri molto più difficili da soddisfare. Come affermò Spinoza, «l’eccellenza è tanto difficile quanto rara». La direzione artistica di Aravena costituisce un notevole passo avanti rispetto all’edizione precedente, affidata a Koolhaas. Tuttavia anche il progettista cileno rifugge dal compito principale, ovvero mostrare il meglio dell’architettura in un dato momento storico. Se consideriamo che il 30% dei progetti esposti a constellation.s (mostra inaugurata a Bordeaux al centro Arc en Rêve la settimana successiva alla Biennale con lo stesso Aravena come principale espositore) riprende le scelte fatte a Venezia, possiamo desumere che sia l’opinione pubblica sia i media abbiano - finalmente - individuato nell’Architettura lo strumento per risanare l’ambiente degradato e per rispondere alla crescente scarsità di alloggi e alla bassa qualità dell’ambiente costruito. Infatti, le mostre inquietanti e di denuncia sull’interpretazione forense e la testimonianza circa la progettazione di Auschwitz esposta Venezia e sul bombardamento di Gaza a Bordeaux sono state concepite per stimolare il nostro...
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