Dal momento che rigidità e pesantezza sono parte dell’architettura, talvolta accade di desiderare intensamente la leggerezza di un tessuto. Dedicare tempo alla scelta di una stoffa per una tenda può rivelarsi uno stratagemma per combattere lo stress durante la progettazione degli edifici. Quando ho saputo della passione di Carlo Scarpa per il tessuto e delle richieste che faceva agli artigiani per contrastare pesantezza e solidità dell’architettura, è accresciuta in me l’affinità verso la sua opera.
Non appagato dalla bellezza delle tende in quanto tali, ho intrapreso la folle sfida di progettare con il tessuto e di utilizzarlo in più occasioni. Quando mi è stata commissionata la realizzazione di una sala da tè nel giardino del Museum Angewandte Kunst (Museo di Arti Applicate) di Francoforte, il direttore mi ha avvisato che, qualora avessi impiegato il legno, il padiglione sarebbe stato danneggiato dopo una sola giornata. Ho così optato per il tessuto, materiale più leggero e più morbido, e ho creato una struttura temporanea, da allestire solo in caso di utilizzo; una scelta che la protegge da eventuali atti di vandalismo. In Giappone, le sale da tè hanno da sempre un carattere provvisorio e sono allestite in spazi ampi, servendosi di separé. Utilizzare il tessuto poteva dunque essere una scelta in linea con una tradizione che attribuisce agli ambienti temporanei un grande fascino.
Fu-an, la sala da tè che ho realizzato per il National Building Museum di Washington, è invece il risultato della sovrapposizione a un pallone gonfiato con elio di uno strato di tessuto ultrasottile (11gr/m2) chiamato Super-Organza. A quel tempo stavo cercando un materiale da riporre facilmente in valigia per limitare i costi di trasporto e mi venne così l’idea di creare questo padiglione per la cerimonia del tè come struttura flottante.
Seguendo questa intuizione, ho impiegato nuovamente la Super-Organza per l’installazione Ceramic Yin Yang all’Università di Milano. È stata per me un’esperienza innovativa: proiettare immagini sul tessuto - che ricorda vagamente la veste di un angelo - ha prodotto un effetto ottico suggestivo, quasi un miraggio.
La Meme Meadows Experimental House che ho progettato a Hokkaido, grande isola settentrionale del Giappone conosciuta per le sue temperature rigide, è stata frutto di una sfida affascinante: usare due strati di tessuto per realizzare una casa non coibentata, ma riscaldata dall’aria calda immessa tra i due teli. Impiegare il tessuto sia per la copertura sia per le pareti ha aumentato il livello di difficoltà nella costruzione, ma è stata per me una scelta di grande importanza perché ho potuto ottenere un livello di leggerezza e delicatezza impossibile da raggiungere con metodi ordinari.
Di recente, rileggendo “S, M, L, XL” di Rem Koolhaas, ho notato con piacere una fotografia di un modello a grandezza naturale della casa Kröller-Müller di Mies van der Rohe, realizzato con un tessuto bianco che mi ha vagamente ricordato la mia Meme. Nel libro, Koolhaas afferma che per Mies, figlio di muratore, creare una struttura in tessuto fu un’opportunità unica che gli consentì di passare alla leggerezza dell’architettura modernista. Un pensiero estremamente interessante, che peraltro coincide con la mia idea di “era del tessuto”.
Dopo aver realizzato il “modello in tessuto a grandezza naturale”, Mies van der Rohe si avvalse spesso della morbidezza e della sensualità di questo materiale utilizzandolo per altri suoi progetti. In “S, M, L, XL”, Rem Koolhaas ribadisce infatti come la duttilità della seta, del velluto e del cuoio rivestissero un ruolo chiave nella sua anti-architettura. Altrettanto importante fu l’influenza della sua amante, Lilly Reich, il cui ruolo impone una riflessione sulla relazione tra architetti e donne.
Nel libro, Koolhaas fa inoltre una rivelazione tanto sorprendente quanto inaspettata, affermando che il modello in tessuto fosse in realtà opera di Philip Johnson, curatore della mostra del MOMA del 1947 dedicata a Mies. E nel fare una dichiarazione del genere, Rem ha conferito al suo saggio la stessa instabilità di una struttura in tessuto.
Ritornando a me, continuo a fare ricerca in questo campo. A Taiwan, ho rivestito un padiglione (chiamato Wind eaves) con una membrana in ETFE, mentre al Toyama Glass Museum ho inciso i tendaggi in più punti per inserirvi dei fiori artificiali, creando così un giardino verticale.
Di recente, mi sono appassionato all’arredo; invece di usare il tessuto in maniera convenzionale, ho usato pezzi di stoffa ritagliati per enfatizzare l’esiguo spessore e la sofficità del materiale. Rifinire un tessuto con un’orlatura diversa permette al materiale di esprimersi in una pluralità di modi, come sanno bene le donne.
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