“Mi sono sforzato di contraddire me stesso per evitare di fossilizzare il mio gusto…”. Questa affermazione di Duchamp risalente al 1945 è, a suo modo, la sintesi di un modello significativo per la creazione di opere in cui discordanze e divergenze sono in primo piano, così da superare una creatività a priori e aprirsi a varie interpretazioni.
Sovvertendo i tradizionali modelli di produzione artistica e respingendo la condizione di dominio incondizionato dell’artista, Duchamp ha inventato gli Stoppages étalon, ovvero fili lasciati cadere dall’alto su una superficie, con lo scopo di ricercare nuove forme sfruttando il carattere contingente della gravità. La chance, il caso per l’appunto, è così divenuta sia efficace punto di partenza, sia attore in gioco nel concepimento dell’opera. Indipendentemente dal suo coinvolgimento nel contesto di produzione artistica, il caso, dotato di un enorme potere retorico e fatalistico, incide sulle scelte umane nelle vesti tanto di responsabile, quanto di rappresentante dell’imperscrutabile nel quotidiano. A fronte di una totale destabilizzazione dei sistemi culturali sorta agli albori del XX secolo, l’ingresso del concetto di casualità all’interno del processo creativo ha favorito un cambiamento culturale generale, caratterizzato dall’allontanamento dai principi razionali dell’Illuminismo e dagli schemi sociali consolidati. Tali iniziative artistiche nate nel primo Novecento non si definiscono sperimentali solo in senso strettamente metaforico; l’esercizio della casualità deve infatti essere organizzato all’interno di un modello sperimentale controllato, al fine di individuare e collocare l’intervento dell’artista in un dipinto o una scultura. I collage in carta di Hans Arp sono un esempio di sistema molto semplice di elementi in interrelazione tra loro - carta strappata, gravità e superficie. Una volta portata a termine, l’opera non è altro che il risultato della disposizione dei frammenti caduti sulla superficie secondo un preciso fine, ossia, a quanto dice lo stesso Arp, rifiutare qualsiasi mimesi e descrizione, dando libero corso “all’Elementare e allo Spontaneo”.
Un sistema analogo è stato ideato da Jackson Pollock. Le sue opere, frutto dell’action painting, vengono infatti controllate dalla viscosità della vernice e dalla gestualità ripetitiva del suo braccio nell’aria. Arp e Pollock insistono su progetti sperimentali, definiti da Duchamp come arma per resistere ai paradigmi culturali o artistici predominanti. La possibilità di utilizzare contingenze per predisporre e organizzare una superficie (carta, tela o altri supporti) comporta molteplici implicazioni al di fuori del mondo dell’arte, tra cui l’emancipazione della casualità stessa, ora intesa anche come strategia organizzativa, e la ridefinizione dei confini tra soggettivo e oggettivo.
Con la diffusione del caso in discipline scientifiche e matematiche, quali meccanica quantistica, statistica, probabilità e teoria dei giochi, nella seconda metà del XX secolo ci si è largamente occupati di individuare e descrivere l’indeterminatezza in quanto oggetto di studio.
La progressiva introduzione di una classificazione dei comportamenti casuali ha rivoluzionato il ruolo dell’indeterminatezza, ora divenuta un fattore fondamentale nell’organizzazione di materia fisica, comportamento sociale e processi biologici.
Questo approccio scientifico volto all’analisi di sistemi complessi ha portato alla creazione di un contesto per descrivere l’interazione imprevista tra elementi all’interno di un sistema complesso, nel quale il carattere generale non è deducibile dal comportamento di nessuno dei componenti presi singolarmente. Queste strategie sono diventate sempre più rilevanti nel nostro lavoro grazie alla loro capacità di connettere forze sociali, economiche e architettoniche a un processo generativo di progettazione.
All’interno di questo contesto, l’organizzazione degli elementi è una conseguenza di condizioni uniche e di operazioni combinate.
Nei suoi famosi scritti, Robert Venturi ha da sempre trattato la complessità, parlo della mia generazione di architetti, venuti alla ribalta negli anni Sessanta, e maggiormente indirizzati verso ridondanza, ambiguità e vitalità a discapito di un funzionalismo esausto e riduttivo del paradigma Moderno.
Già nella sua opera-manifesto “Complessità e Contraddizioni nell’Architettura”, egli denuncia, quasi parallelamente, incoerenza e arbitrarietà quali segnali di architettura incompetente. La mia lettura: il problema consiste nello sviluppare soluzioni nate da collegamenti direttamente causati dal contesto, consentendo così la creazione di un’architettura in grado di promuovere discordanze e divergenze.
Il lavoro qui presentato è il risultato di venti anni di indagine sperimentale circa il ruolo del caso come componente nell’organizzazione (ossia nella resa coerente) e nella sistematizzazione del nostro stesso lavoro. Tale ricerca emerge dallo iato tra la produttività della pratica artistica e le proprietà descrittive degli studi scientifici, facendo leva su una strategia incentrata sul processo e in grado di conciliare intenzionalità e contingenza. Il nostro interesse non si focalizza sull’uso del caso come una strategia espressiva di creazione artistica, bensì sulle potenzialità di alcune nuove opportunità organizzative e sull’adesione a processi che comprendono la base generativa del lavoro.
Più di recente, tutto questo ha assunto la forma di una sequenza di costruzioni tridimensionali, generate da una matrice di quattro funzioni primarie, ovvero le fondamenta del progetto. I metodi combinati regolano uno spazio definito, concentrandosi sull’alto livello di differenziazione delle costruzioni, in modo che, una volta portate a termine, si percepisca l’unicità di ogni interazione tra edifici e, di conseguenza, si formino delle famiglie morfologiche. Alle forme create nello spazio tridimensionale fanno seguito disegni intesi come libere interpretazioni delle condizioni spaziali esistenti. Lavorando all’interno dell’ambiente digitale, si assiste all’inversione della linearità della formula artista-disegno-modello. L’interazione tra intenzionalità e caso comporta infatti la perdita di contatto tra artista e materia, al fine di creare un sistema generativo favorevole alla diversità nelle forme e nell’interpretazione, pur mantenendo una coerenza complessiva. La qualità organizzativa del lavoro viene valutata sulla base tanto della consistenza combinatoria nel sistema in cui vengono organizzati gli elementi, quanto delle proprietà degli elementi stessi. Ultimamente siamo alla ricerca di nuovi modelli di coerenza in grado di espandere i limitati modelli organizzativi disponibili all’interno della pratica.
Sin dai nostri primi progetti (Venice 3, Sixth St. Residence), è stato fondamentale concentrarsi su aspetti quali relazioni, connessioni e adiacenze. Nella costruzione della Crawford Residence (California, USA, 1990) il focus è stato ricercare sistemi sovrapposti e creare un’organizzazione tale da favorire un interscambio ritmico e sincopato di spazi, al fine di sconvolgere le convenzioni tipologiche.
Mentre la Crawford Residence si è avvicinata all’idea di sistemi sovrapposti dal punto di vista planimetrico, l’ASE Design Center (Taipei, Taiwan, 1997) ha dato il via al processo in tre dimensioni. L’ambiente di progettazione digitale ha posto le basi per l’utilizzo di funzioni primarie altamente differenziate (punto, linea e piano) come criterio nell’organizzazione dello spazio, venendo incontro alle contingenze (anche spaziali) e ripensando a spazi capaci di soddisfare richieste funzionali. Si tratta del primo progetto che identifica nelle funzioni primarie le fondamenta per un sistema integrativo, aspirando a una differenziazione estrema in risposta alle diverse condizioni programmatiche. La diversità tra questi sistemi si traduce in un’irregolarità controllata negli spazi, producendo linee visuali con maggiori diversità.
Il complesso Giant Interactive Group Corporate Headquarters (Pudong, Cina, 2010) è una sintesi dell’interazione tra suolo ed edificio che ha distinto il Crawford Residence e la metodologia combinatoria usata nell’ASE Design Center. Sfruttando il sito come contesto dove mettere alla prova la tipologia associata a funzioni primarie sistematiche, lo schema ibrido persegue eterogeneità su scala urbana con l’intenzione di affrontare elementi che si possono trovare in una città storica (diversità, complessità e ricchezza di spazi) con la consapevolezza che, nello spazio, risulta più interessante l’imprevedibile rispetto al programmato. Questi progetti - Crawford Residence, ASE Design Center e Giant Interactive Group Corporate Headquarters - sono stati concepiti creando una sorta di leitmotiv (sia implicito, sia esplicito) attraverso una serie continua di costruzioni astratte. In entrambe le tangenti, sono alla ricerca di metodologie per arrivare al complesso, al differenziato, all’idiosincratico, esplorando le potenzialità di processi che consentono a casualità, accidentalità e contingenza di coesistere con razionalità e intenzionalità.
Thom Mayne
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