La filigrana di Milano. Acqua, città e territorio

Scritto da Gianandrea Barreca, Giovanni la Varra - 4 marzo 2015

Milano e le sue acque sono in un rapporto storicamente schizofrenico. Da un lato, i tre grandi fiumi milanesi (Lambro, Seveso e Olona), che scorrono paralleli da nord a sud, non hanno avuto nessuna influenza sulla forma della città. La forma radiale, perfetta, atopica, della Milano che si struttura sulle rovine della città romana, è indifferente al corso dei fiumi. Eppure questi fiumi sono protagonisti nel più ampio territorio, sono i segni attorno a cui si cristallizza l’industrializzazione fiorente di Legnano (sul corso dell’Olona) o la ricca agricoltura del lodigiano (sul Lambro). Ma nel centro di Milano il loro corso non produce significativi risultati sulla forma della città e sulle sue architetture.
Per contro, a fronte di questa “amnesia”, il rapporto di Milano con l’acqua è intimo, di lunga durata e fondante della forma attuale della città. Però non è l’acqua dei corsi naturali al centro del disegno urbano milanese, ma piuttosto una costante e pervasiva opera di ingegneria che costruisce navigli, chiuse, darsene, conche, porti, calate, attracchi, e ispira e sostiene il disegno radiale della città al centro della pianura padana.
A Milano l’acqua è sempre stata frutto di un disegno, di un progetto e di un calcolo. Ha accompagnato le stagioni di crescita mercantile e industriale della città e solo nel XX secolo ha lasciato spazio a reti più efficienti, anch’esse ricalcate sul disegno radiale (la ferrovia e la tangenziale).
Il legame tra l’acqua e la sua utilità produttiva ha fatto sì che, dismesso il ruolo dei flussi d’acqua come vettori di merci e legame con la pianura agricola, i canali siano scomparsi, ritratti in una sorta di filigrana urbana, che ha visto la copertura dei navigli del centro (negli anni Venti del XX secolo) e il mantenimento fino al 1979 del traffico...