La carriera di ogni grande architetto è fatta di tentativi, fughe in avanti, ritorni, ripensamenti e poi ancora, nei casi migliori, nuove direzioni di ricerca ed espressività: certamente Massimiliano Fuksas rientra in questi ultimi casi. Ha affrontato le tipologie più attuali dell’architettura pop - il centro commerciale, il grattacielo, il quartiere fieristico, il centro congressi, lo spazio per concerti, l’aeroporto - senza “essere parlato” dal linguaggio convenzionale che ne fa spesso stereotipi immutabili e consunti. Ha preferito invece “parlare” quelle tipologie, da vivace propagandista dell’idea di avanguardia e di invenzione progettuale. Questo naturalmente lo ha messo nella scomoda posizione di dover trasformare ogni incarico ricevuto in una nuova prova di maestrìa.
Nelle nostre conversazioni ultimamente emergeva spesso il tema degli Archivi Nazionali di Francia, che sarebbero stati presto completati: ma era difficile saperne di più, come se una certa ritrosia lo trattenesse dal dilungarsi su un edificio che poteva forse non rappresentare uno dei suoi exploit più clamorosi. Ora che gli “Archives Nationales” sono completati, ora che il tranquillo contesto suburbano di Parigi, Pierrefitte-sur-Seine, ospita un’altra sequenza nella cinematografia spaziale del Fuksas “regista” - come ama definire il suo lavoro - capisco che non si trattava di riservatezza: ma piuttosto di una sospensione nel giudizio lasciata all’osservatore, che davanti all’architettura realizzata non può che ritrovare ancora il tocco dell’invenzione, in un’opera che ripercorre molti temi dell’avanguardia e li ricuce in una sfavillante macchina per la conoscenza.
Il tema progettuale era proprio questo: come ci si confronta con il tempo andato, con le sue testimonianze,
con l’idea che il...
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