Per quale motivo Cherubino Gambardella titola la sua recente monografia, pubblicata dalla casa editrice Electa, Neorealismo Magico? La domanda non è da poco, perché per darle una risposta occorre capire quale relazione possa legare i lavori recentemente realizzati dallo studio di questo architetto napoletano quarantasettenne - è nato nel 1962 - e le opere di un movimento in bilico tra metafisica e realismo, lanciato durante il fascismo da Massimo Bontempelli e che ebbe tra i propri seguaci Antonio Donghi, Felice Casorati e Cagnaccio da San Pietro. Escluderei la scelta di campo politica. Nessuna nostalgia per il ventennio tanto più che in alcuni Paesi dell’America Latina il realismo critico è stato abbracciato da scrittori appartenenti a ideologie tra le più diverse quali Gabriel García Márquez e Jorge Luis Borges. Punterei invece a tre spiegazioni disciplinari. La prima consiste nella volontà di risolvere una contraddizione della cultura architettonica italiana, soprattutto di matrice accademica, che è quella di non riconoscersi nelle sperimentazioni condotte dal postdecostruttivismo e dalle varianti dell’ high tech, soft tech compreso. E nello stesso tempo di non volersi chiudere in un atteggiamento reazionario. Riaffermare un filo con un movimento agguerrito e non privo di sorprese creative come il realismo magico significa accettare un punto di vista interno alla ricerca d’avanguardia e un terreno di confronto dove si scontrano ancora le dichiarazioni programmatiche di intenti, i manifesti e la tensione polemiche di chi in fondo crede nella sperimentazione e nell’innovazione. La seconda ragione è di carattere biografico. Cherubino Gambardella si è formato con Franco Purini, di cui è stato assistente, e da lui ha ripreso la lettura dell’architettura italiana come conflitto, sia pur fecondo, tra due tendenze: futurismo e metafisica. Optare per il realismo magico, che con la metafisica ha numerosi punti di contatto, vuol dire porsi all’interno di questo quadro di...
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