Nel 1999 Jean-Marie Massaud assieme a Thierry Gaugain e Patrick Jouin partecipò al Salone Satellite di Milano con un’installazione denominata Luxlab: un prato verde in declivio, uno specchio d’acqua e un caminetto con il fuoco acceso. Era l’eloquente metafora di un nuovo concetto di lusso, inteso come benessere, legato a piaceri immateriali, come la contemplazione dell’acqua e del fuoco e come il contatto diretto con la natura (sdraiarsi sull’ erba).
Considerando a ritroso il lavoro di Jean-Marie Massaud appare evidente come quella installazione sia da considerarsi il punto di partenza di un percorso progettuale basato sulla ridefinizione del concetto di vita, sulla proposizione di valori, quali il tempo, quello da dedicare a sé, lo spazio, la relazione con la natura, l’espansione della propria singolarità mediante i piaceri sensoriali e l’interazione con gli altri. Massaud considera materia e oggetti essenzialmente come stimolatori di relazioni. “Gli oggetti”, dichiara, “sono parole”. Vanno utilizzati per comporre delle frasi. Un fraseggio che dia senso alla nostra vita.
Progetti di vita i suoi. Parole grosse! Di certo non fuori luogo.
In ogni suo discorso l’accento cade sulla necessità di educare, sulla volontà di creare dei modelli di vita alternativi a quelli preconfezionati dal marketing, sull’intenzione di modificare il sistema. Non manca una vena moralista. Ma le sue affermazioni non hanno gli accenti dell’arringa da tribuno alla Enzo Mari, ma piuttosto i toni soft di chi alle logiche del modello produttivo ha deciso di starci, cercando di modificare il sistema dall’interno.
Le marche che hanno il potere economico e che influenzano i consumatori non le avversa. Anzi, si allea con loro per fare, come sostiene, “non solo la direzione artistica, ma anche quella delle coscienze”.
E di alleanze si rivela buon alfiere. Ha collaborato con i grandi della cosmetica, disegnando la brand identity di Lancôme, store e spa (2003/2005) di...
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