Nel 1992 Citterio licenzia due lavori per Vitra: sono le sedie Visavis e la fabbrica di mobili per il complesso di Neuenburg. Le prime sembrano essere riprese, quasi di sana pianta, dalle celeberrime poltroncine disegnate da Mies per la casa Tugendhat. Ma, a ben guardare - si osservi per esempio lo schienale - non vi è più il sacrificio delle ragioni del corpo a quelle della purezza della struttura, l’austerità di una immagine logicamente e formalmente assoluta contrapposta al piacere sensuale per la materia. Siamo su un altro pianeta concettuale. Che è quello dell’High Touch, cioè di un modo di porsi rispetto al problema progettuale che alcuni progettisti, soprattutto italiani, stanno da tempo elaborando, ma separatamente gli uni dagli altri, senza avere - come è stato per esempio con l’High Tech o con il decostruttivismo - la consapevolezza di far parte di questo comune sentire. L’High Touch nasce dal bisogno di rivedere, in chiave percettiva e relazionale, l’innovazione tecnologica giudicata positivamente, ma della quale se ne intravedono i pericoli e se ne stigmatizzano gli eccessi. Diversamente dall’organicismo e dall’espressionismo rifiuta, però, la fuga nelle forme avvolgenti, complesse e frattali della natura, ed evita di risolvere il problema progettuale in chiave soggettivistica o, peggio, rifugiandosi nel mito dell’architetto visto come creatore titanico. Sostiene la ricerca e la sperimentazione; è poco interessato ad astratti problemi di linguaggio; diffida da chi ripete sempre gli stessi stereotipi passandoli come firma; rivendica il diritto di sperimentare sulle forme e di lavorare, sviluppandoli, su modelli e prototipi della nostra storia recente; tenta un incontro tra la progettazione lasciata ancora ai metodi della bottega artigianale e la produzione effettuata in base a sempre più efficienti criteri organizzativi industriali, ma, soprattutto, focalizza la propria attenzione sul rapporto tra l’oggetto e l’utente, tentando di umanizzare la...
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