L’incipit d’un’ideale storia dell’interior contemporaneo potrebbe essere la riflessione di Michel De Certeau sulla necessità che “un luogo personale si densifichi materialmente e affettivamente per diventare il territorio dove si radica il microcosmo familiare”. (Michel De Certeau, Luce Giard, Pierre Mayol, L’invention du quotidien, Gallimard, Parigi, 1994).
I vittoriani, più tardi disprezzati come cultori delle cianfrusaglie, cui si deve, per pudore, l’eliminazione delle stanze passanti e l’introduzione del corridoio, consideravano l’accumulo e l’ostentazione degli oggetti come l’unico modo per mostrare il vero carattere di una famiglia. Per loro abitare significava “densificare”. Come reazione alla sovrabbondanza nacquero movimenti che sostenevano la causa di uno stile semplice ed essenziale, confluiti poi nel Bauhaus, fondato a Weimar da Walter Gropius nel 1921. Il sociologo Harvey Molotch definisce il Bauhaus “il luogo in cui si creò una moda che annullava tutte le mode, attraverso l’ideazione di un’estetica universale e la democratizzazione della purezza morale”. (Harvey Molotch, Fenomenologia del tostapane, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2005). Il catechismo di questa nuova estetica era: la forma segue la funzione. Le sue massime: la famosa affermazione ripresa da Adolf Loos “ornamento è delitto” e la convinzione di Mies van der Rohe, membro del Bauhaus, che “less is more”. Per i maestri del Bauhaus che volevano una forma adeguata alla funzione e auspicavano arredi semplici e razionali, possibilmente per tutti, la densificazione non aveva ragion d’essere. Anzi, era da preferire la rarefazione. L’interior per avere “purezza morale” doveva essere esente da ornamenti: possedere muri bianchi, mobili essenziali, per lo più in tubo metallico. Ma, guardando a ritroso, anche lo stile moderno promosso dal Bauhaus può essere considerato una moda. “Tutte le sedie ben disegnate” sostiene Reyner Banham, sono scomode e poco convenienti“ (Architettura della...
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