In piena esplosione neobarocca e neoantica (Aprile 2005), mentre i suoi coetanei si dedicavano al pizzo, al crochet e all’intaglio (Wanders, Urquiola, Boontje) Tom Dixon, in controtendenza, lanciava il riduzionismo.
“Sono il solo ad avere fatto indigestione di fiori e decori?” si interroga Tom nel manifesto che accompagnava la presentazione della sua nuova collezione a Milano. “Amo la botanica, non rifiuto la moda e sono attratto dalla virtualità, ma sto diventando “fondamentalista”. In questa nuova stagione il mio studio si propone di denudare gli oggetti, spogliandoli degli artifici e del superfluo, per giungere alla loro sostanza, esplorarne il succo vitale e individuarne l’anima. Perciò quello che vedete sono degli scheletri nudi di sedie in alluminio e delle lampade ramate, simili a bolle che celano una normale lampadina… Riduzionismo non significa privare gli oggetti del loro carattere e delle loro emozioni, ma vuol dire che il progetto si deve concentrare sull’indispensabile, sia in termini di materia, che di tecnologia.
Il riduzionismo è lontano dal minimalismo, anzi, accentua l’espressività degli oggetti, perché è prossimo alla loro essenza”. Bisogna avere le spalle solide per andare con decisione in controtendenza, per osare un vocabolario succinto, quando tutti indulgono alla retorica. Tom è un vertebrato, dicono gli estimatori, mentre la maggior parte dei designer sono degli invertebrati. Poiché è convinto di avere delle buone idee,
per realizzarle, dato che ancora, come provocatoriamente ama ripetere, sta aspettando di essere chiamato da un’industria inglese, ha deciso di fare da solo e di creare un proprio marchio. Si è trovato un socio manager che crede in lui, David Begg e un investitore visionario, lo svedese Proventus. La filosofia è chiara ed etica: conciliare l’innovazione tecnologica e materica con la semplificazione del design. Il processo progettuale di Tom parte dal dentro delle cose: dalla struttura, dai materiali,...
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