“Nelle città invisibili non si trovano città riconoscibili.
Sono tutte città inventate?”
ITALO CALVINO da “Le città invisibili”
I quattro artisti italiani di cui voglio parlare (Armin Linke, Giacomo Costa, Olivo Barbieri e Loris Cecchini) operano con il mezzo fotografico per rappresentare luoghi del nostro (e forse dell’altro) mondo: architetture, paesaggi, spazi, situazioni urbane, città.
Sono ormai lontani i tempi nei quali si teorizzava la cosiddetta “obiettività” della fotografia (la macchina fotografica non mente mai.….la fotografia è puro documento della realtà...) e le immagini rappresentate in queste pagine ci fugano persino l’ultimo dubbio. Berenice Abbott, con il progetto “Changing New York”, appare veramente figlia di un altro secolo: lo shock sociale per una metropoli che voleva scrollarsi di dosso gli anni della depressione e diventare con la ricostruzione l’emblema del New Deal e della modernità, veniva registrato con grande solerzia documentativa da un unico occhio. Un cambiamento allora considerato irripetibile e da lasciare ai posteri attraverso l’arte della Abbott.
Opposta per metodo fu invece l’indagine voluta negli stessi anni dai democratici al governo americano per il progetto conosciuto come Farm Security Administration e per il quale furono “inviati” nelle desolate comunità agresti del mid-west una mezza dozzina di fotografi: più occhi a voler registrare un unico sistema sociale (e non solo architettonico) in crisi.
La fotografia di architettura ha passato poi alcuni decenni di poco interesse, fino agli anni 50-60 ove l’impatto creativo di alcuni architetti come Le Corbusier e Wright hanno incuriosito fotografi del calibro di Hervè e Shulman, anch’essi entrati poi nella leggenda.
Solo più recentemente la rappresentazione architettonica entra nuovamente nel sistema dell’arte (attraverso una sorta di manifesto “anti-arte-concettuale”) con artisti come Dan Graham, Gordon Matta-Clark o i...
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