Il rispetto della preesistenza storica coniugato alla leggibilità dei nuovi elementi in quanto tali è alla base dell’approccio progettuale di TenBerke, che trova negli interventi di riuso adattivo il contesto ideale per esprimere i suoi valori fondanti: l’autenticità, il rigore intellettuale e la passione per l’arte.
Negli spazi del Lewis Law Center, gli studenti di Legge dell’Università di Harvard trovano un luogo concepito per creare un senso di comunità e di appartenenza. Il progetto, firmato dallo studio newyorkese TenBerke, è tutto giocato sull’equilibrio tra l’esigenza di privacy e il desiderio di godere della luce del sole e della vista sul paesaggio. L’intervento consiste nel riuso adattivo di un edificio modernista del 1959, progettato da Shepley Bulfinch Richardson & Abbott come archivio a servizio della biblioteca del campus. L’obiettivo dei progettisti va oltre l’operazione di recupero e riconversione di una struttura obsoleta, mirando ad adattare lo spazio architettonico alle dinamiche sociali che oggi caratterizzano la didattica in campo giuridico, e portando l’edificio ad acquisire una funzione fondamentale di connettore all’interno del campus.
Il programma funzionale del Lewis Law Center della Harvard Law School include sale per riunioni e conferenze concepite con un layout flessibile, aree collettive che incoraggiano il lavoro interdisciplinare, ma anche postazioni di studio e uffici privati, oltre a un laboratorio all'avanguardia dedicato al diritto applicato al cyberspazio per il Berkman Klein Center for Internet & Society. Il processo di rivitalizzazione dell’edificio è passato attraverso la creazione di diverse aperture sui fronti esistenti in pietra, in modo da lasciare entrare quanta più luce naturale possibile, e di un nuovo ingresso teso a valorizzare maggiormente l’accesso al campus, con l’inserimento di un volume in aggetto dalla facciata. Quest’ultimo è stato costruito in metallo e vetro, così come la sopraelevazione: in sommità alla struttura è stato infatti aggiunto un piano, con terrazza in copertura. Infine, si è realizzato un nuovo sistema di circolazione interna, con una serie di collegamenti verticali tra i diversi livelli.
Il rispetto della preesistenza storica coniugato alla leggibilità dei nuovi elementi in quanto tali è alla base dell’approccio progettuale di TenBerke, che trova negli interventi di riuso adattivo il contesto ideale per esprimere i suoi valori fondanti: l’autenticità, il rigore intellettuale e la passione per l’arte. Tra i progetti più recenti di questo tipo firmati dallo studio rientrano anche altri due lavori: il 122 Community Arts Center di New York, intervento di recupero e ampliamento di una ex scuola pubblica, trasformata in un hub interdisciplinare dedicato all’arte e agli artisti e il 21c Museum Hotel di Oklahoma City, che include gallerie di arte contemporanea e 135 camere di albergo, oltre a uno spazio per eventi, bar, ristorante e spa, il tutto tra le mura di una ex fabbrica di automobili Ford, progettata da Albert Kahn.
La logica di inclusione e la ricerca di un senso di appartenenza che pervade tutti questi lavori sono presenti anche in un progetto di nuova costruzione come quello per i due studentati all’Università di Princeton, che gli stessi architetti definiscono come il più ambizioso completato finora dallo studio, sia per dimensioni sia per obiettivi: l’intervento, infatti, permette finalmente all’Ateneo statunitense di ospitare gli iscritti per tutta la durata del corso di studi, realizzando il modello chiamato fully-integrated four-year residential college system.
INTERVISTA
Lasciare il segno
Deborah Berke e Maitland Jones
Principals TenBerke
Il Lewis Law Center della Harvard Law School nasce da un progetto di riuso adattivo, una tipologia di intervento che consente di conservare la preesistenza in un’epoca come quella presente, caratterizzata dal consumo e dalla transitorietà. Quali sono i criteri progettuali alla base del concept che avete elaborato per il rinnovo dell’edificio?
Deborah Berke: Volevamo realizzare il massimo consumando il minimo, raggiungere il migliore effetto demolendo il minimo possibile. Il progetto ha previsto il riuso dell’ossatura strutturale originaria, con la demolizione di soltanto il 20% dell’edificio esistente, e al tempo stesso la trasformazione della sua identità all’esterno e all’interno.
Maitland Jones: Il palazzo è stato costruito nel 1957 su progetto di stimati architetti americani quali Shepley, Bulfinch, Richardson e Abbott, come ampliamento degli spazi di archivio della biblioteca di giurisprudenza. Negli anni Duemila, l’edificio è diventato obsoleto: oggi non c’è bisogno di un deposito di queste dimensioni al centro del campus, e l’immobile è diventato una sorta di collo di bottiglia. Nel tempo, le esigenze di organizzazione funzionale e quelle pedagogiche si sono evolute, e dunque l’edificio deve a sua volta cambiare e adattarsi.
D.B.: Le scaffalature non avevano bisogno di luce, quindi era uno spazio piuttosto buio. Così, abbiamo ritagliato delle aperture sui muri esterni in pietra per aumentare l’illuminazione naturale. Sulla facciata siamo intervenuti anche con un’aggiunta in metallo e vetro. Nel contesto del campus, questo edificio viene fruito in maniera circolare, come se fosse un padiglione, per cui abbiamo riposizionato gli ingressi in modo che adesso sia aperto verso il campus su ogni lato.
M.J.: All’interno, abbiamo rimosso alcune porzioni dei solai per creare spazi connessi tra loro in senso verticale, con lo scopo di incentivare logiche di collaborazione, apprendimento e co-working. Posizionate in corrispondenza di lucernari, queste aperture che collegano vari livelli permettono alla luce naturale di raggiungere il cuore dell’edificio e creano nuove linee di visuale. Sale riunioni e aree destinate al lavoro in team sono raggruppate intorno a questi pozzi di luce per favorire la conversazione e il senso di comunità. Abbiamo scelto una palette cromatica vivace insieme ad arredi eclettici, che evidenziano la geometria dell’edificio e la convivialità dei suoi spazi. Abbiamo dato ai gruppi di lavoro ospitati all’interno dell’edificio un nuovo modo di lavorare, interfacciarsi e trascorrere i momenti di socialità: questo è stato forse il risultato più significativo che abbiamo raggiunto.
Nel caso del Richardson Hotel, siete intervenuti su un complesso, il Richardson Olmsted Complex a Buffalo, ufficialmente riconosciuto come National Historic Landmark. Quali sono state le maggiori sfide che avete affrontato lungo l’iter progettuale?
D.B.: Questo edificio fu costruito davvero in maniera solida: le partizioni interne furono infatti realizzate in muratura portante, fattore che ha reso l’intervento sul layout degli spazi interni simile alla composizione di un puzzle. L’immobile, che fu edificato 140 anni fa e conteneva un ospedale pubblico, era stato disegnato da H.H. Richardson con un progetto paesaggistico di Frederick Law Olmsted e Calvert Vaux. Viene considerata una delle più importanti architetture del XIX secolo. Pensato come l’ospedale psichiatrico di Buffalo, l’edificio seguiva il modello architettonico sviluppato dal medico di Filadelfia Thomas Kirkbride, che prevedeva un adeguato apporto di illuminazione e ventilazione naturale, con una vista sul paesaggio all’esterno, per tutti gli ospiti della struttura. All’epoca, il piano Kirkbride rappresentava il riferimento per la realizzazione dei manicomi in tutti gli Stati Uniti. Le camere di degenza dei pazienti erano volutamente piccole, ma affacciate su ampi corridoi di distribuzione, inondati di luce naturale.
Abbiamo riconvertito questo edificio in un boutique hotel, centro convegni e spazio per eventi, che include anche il Buffalo Architecture Center. Per creare camere da letto moderne per l’albergo, non potevamo semplicemente abbattere quei muri interni massivi. Abbiamo realizzato delle aperture nelle pareti in modo da unire più stanze e abbiamo aggiunto dei box a ridosso dei corridoi per inserirvi i bagni. L’obiettivo, lungo tutto il corso del progetto, è stato quello di rispettare e valorizzare l’architettura distintiva del complesso, con interventi che permettessero all’edificio di vivere la sua nuova vita, concepiti in continuità rispetto al fabbricato storico, ma al tempo stesso leggibili come nuovi.
I due nuovi studentati dell’Università di Princeton rispondono a una visione dell’ambiente universitario come di «un luogo a cui tutti gli studenti sentono di appartenere». Come è stata implementata questa idea negli spazi della struttura?
M.J.: Nel progettare edifici di nuova costruzione, prendiamo in prestito idee che abbiamo imparato negli interventi di riconversione di edifici esistenti. Ad esempio, il nostro concetto di riuso adattivo intende rivelare i segni della trasformazione. Di conseguenza, questi immobili riportati alla vita veicolano un’immagine di continuità: il dopo non cancella il prima. Realizziamo luoghi dove le persone possono lasciare la loro impronta.
A Princeton, anche se i nuovi studentati riecheggiano dimensioni, proporzioni e strutture di altre parti del campus, sono in definitiva stati plasmati con un linguaggio contemporaneo. Incoraggiano un senso di autonomia e di appartenenza, sembrano dire: «Questi spazi sono stati costruiti per te, nel tuo tempo; tu appartieni a loro». Ecco il fulcro del progetto: creare un’esperienza di college accogliente e inclusiva, un ambiente che sia coinvolgente e invitante, un luogo che sia di supporto alla formazione di comunità autentiche e durature.
Per raggiungere questo obiettivo, abbiamo creato spazi per gli studenti che non sono troppo “prescrittivi”, ma che i ragazzi possono rendere propri riposizionando gli arredi. Le persone sono affascinate dalle particolarità degli edifici storici, per cui in questo caso abbiamo prestato attenzione a introdurre caratteristiche peculiari. Abbiamo disegnato le facciate con elementi distintivi, che permettono a uno studente di indicare dove si trova la propria camera, o quella di un amico, in modo che sentano l’edificio come un luogo in cui identificarsi e a cui appartenere.
Un principio di visibilità percorre tutto il progetto: consentendo agli studenti di stabilire connessioni visive con le attività all’interno, si dà loro la possibilità di fare delle scelte su come partecipare e costruire una comunità, il tutto secondo il proprio sentire. Naturalmente non possiamo preparare tutta la “coreografia” in anticipo, ma questi accorgimenti progettuali funzionano da catalizzatore per avviare il processo di creazione di un senso di appartenenza.
I primi lavori dello studio riguardavano la riqualificazione di edifici industriali, da convertire in spazi dove gli artisti potessero vivere e lavorare. Progetti completati in anni più recenti, come NXTHVN a New Haven, spazio dedicato alle arti e alla creazione di comunità, tornano su questo tema. Quali sono le ragioni che ve lo rendono così caro?
D.B.: È vero, i nostri primi progetti di riuso adattivo furono riconversioni di spazi industriali dismessi a New York City. Questi edifici erano belli così come li trovammo; rappresentavano il tessuto della città, non i suoi monumenti. Ecco, per me è sempre stato importante lavorare sul tessuto urbano, per migliorare i fabbricati esistenti, per cambiarli e adattarli a una metropoli in continua evoluzione come la Grande Mela.
Inoltre, l’attività degli artisti fiorisce negli edifici vecchi, perché sono posti che lasciano spazio ai processi creativi e alla libera espressione. Il progetto per NXTHVN rivela, anzi evidenzia, la storia e l’identità degli edifici coinvolti: uno era una fabbrica di gelati, mentre nell’altro si producevano attrezzature da laboratorio. Travi in legno, muri in mattoni, pavimenti in cemento sono stati ripuliti e lasciati a vista, e alcuni elementi industriali sono stati mantenuti. Per gli artisti che abitano e lavorano in questi spazi, l'architettura diventa un involucro creativo che non interferisce nella loro energia produttiva e artistica, ma la supporta.
Il progetto per il 21c Museum Hotel a Oklahoma City racchiude in sé le due funzioni di albergo e galleria d’arte contemporanea. Come si relazionano, influenzano e valorizzano l’una con l’altra?
D.B.: Abbiamo progettato il primo 21c Museum Hotel a Louisville, in Kentucky. L’idea è nata da due collezionisti d’arte contemporanea del Kentucky, Laura Lee Brown e Steve Wilson, che volevano svolgere un ruolo attivo nella rivitalizzazione del downtown di Louisville. Così, hanno sviluppato un modello ricettivo che combina la loro passione per l’accoglienza, l’arte, il buon cibo e il recupero di vecchi edifici. Abbiamo proseguito realizzando altri otto Museum Hotel con loro, per la maggior parte ripensando vecchi edifici che erano una parte importante del tessuto della città.
Il 21c Museum Hotel a Oklahoma City fu disegnato da Albert Kahn come un impianto di produzione di automobili Ford Model T. L’edificio ha una presenza incredibile e la sua rinascita ha stimolato un processo di sviluppo tutto intorno. L’arte all’interno dei Museum Hotel è provocatoria e interessante. Ogni struttura dispone di un ristorante che propone un menù di cucina locale. Ognuna di esse diventa una meta, aperta fino a tarda sera, una sorta di salotto cittadino.
TenBerke si fonda sull’idea di un’architettura non fine a se stessa, che vede i progetti come «strumenti per un cambiamento significativo e sostenibile». Quali sono i maggiori risultati che avete raggiunto finora e quali i vostri obiettivi per il futuro?
M.J.: Abbiamo parlato a lungo del nostro lavoro in termini di risultati. Spesso si tratta di risultati nel campo sociale: come vengono utilizzati i nostri spazi? In che modo i nostri edifici sollecitano l'azione e aiutano le comunità a crescere? Vediamo che i nostri progetti sono ben utilizzati e amati: questo è un elemento di successo per noi. Vorremmo continuare con questo tipo di filosofia: progettare edifici che si inseriscano nel tessuto del luogo, a beneficio dello stesso; edifici sostenibili che suscitano emozioni positive in coloro che li vivono.
Luogo: Cambridge, Massachusetts, USA
Committente: Harvard Law School
Completamento: 2022
Superficie lorda: 4.686 m2 (Restauro: 3.526 m2, nuova costruzione: 1.160 m2)
Progetto architettonico e degli interni: TenBerke
Consulenti
Capo progetto e supervisore delegato: CSL Consulting
Strutture e involucro: Simpson Gumpertz & Heger (SGH)
Illuminazione: One Lux Studio
Progettazione elettrica, meccanica, idraulica e prevenzione incendi: Altieri
Ingegneria Civile: Nitsch Engineering
Paesaggio: Michael Van Valkenburgh Associates
Sostenibilità: Atelier Ten
Audiovideo/tecnologie: Cerami
Fotografie: Chris Cooper, courtesy TenBerke
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