Il museo, dimora delle collezioni donate dal filantropo scozzese alla città di Glasgow, riapre alla comunità valorizzando la visione originaria della mostra
Un luogo, una dimora per l’arte da vivere nel suo stretto legame con la natura: è stata questa, fin da subito, la volontà di William Burrell, l’armatore e filantropo di origine scozzese che nel 1944 ha donato la sua collezione di opere alla città di Glasgow. Da quel desiderio è nato uno dei musei più ricchi ed eclettici del Paese, con oltre novemila pezzi tra oggetti dell’antichità egizia e romana, quadri dell’impressionismo francese, vasi raffinati e sculture che, a partire dal 1983, sono stati esposti nella nuova sede del cosiddetto The Burrell Collection, all’interno del Pollok Country Park. Oggi, dopo un periodo di chiusura lungo un lustro per lavori di ristrutturazione e valorizzazione dell’esistente di stampo conservativo, le sue gallerie hanno riaperto al pubblico grazie all’intervento dello studio John McAslan + Partners, che ne ha curato il progetto architettonico e del paesaggio in seguito alla nomina da parte di Glasgow Life, l’ente territoriale impegnato nella gestione delle attività culturali e sportive.
L’originario edificio in arenaria rossa del Dumfriesshire, cemento, acciaio inossidabile, legno e vetro, realizzato da tre architetti accademici di Cambridge – Barry Gasson, Brit Andresen e John Meunier – è stato dunque ristrutturato valorizzando e amplificando quell’idea fondante formulata da Burrell, rendendo ancor più forte e significativo il legame con il contesto attraverso un processo di notevole apertura e di accessibilità per tutti, tanto degli spazi interni quanto nel loro rapporto con l’esterno, di trasparenze e di immersione, sia nella storia delle collezioni, sia in quella della natura.
Il principio dell’apertura è uno dei pilastri intorno al quale si sono articolate numerose scelte progettuali, basti pensare come la riorganizzazione degli ambienti, pur preservando l’identità e la personalità dell’architettura, abbia portato a un guadagno di spazio del 35%. Questo gesto si è tradotto, per esempio, in aree interne ampie e ariose, con alcune zone a doppio volume e corridoi superiori aperti verso i piani sottostanti, lasciando così libera la visuale sulle installazioni o sulle esposizioni circostanti a diversi livelli. Allo stesso tempo, tale azione ha portato a una diversa e più completa fruizione anche fisica, oltre che visuale, degli spazi, consentendo cioè maggiori possibilità di movimento sia orizzontalmente sia verticalmente. Due esempi emblematici che rientrano sotto l’ombrello dell’apertura sono quelli del nuovo ingresso al museo e del volume di orientamento interno. La zona di accesso originaria, una volta collocata all’estremità dell’ala con copertura a falde e terminante con un portale simile a un frammento di monastero, è stata spostata e ampliata attraverso una pavimentazione direttamente accessibile dal parco adiacente e priva di qualsiasi ostacolo, in modo da incentivare la fruizione dello spazio verde e la sosta all’aria aperta da parte di tutti. Il volume di orientamento centrale, sfruttando la pendenza naturale del terreno sul quale è appoggiato in realtà l’intero edificio, è studiato in modo da collegarsi alle gallerie del mezzanino superiore e a quelle del piano sottostante; con una scala che si fonde e si mimetizza con le sedute a gradini poste accanto.
Lo sguardo ha possibilità di scorrere senza ostacoli dall’interno verso l’esterno anche al piano più basso della struttura, dove si articolano i laboratori, alcune gallerie e una caffetteria: da quest’ultima, seduti a un tavolino, è possibile percepirsi in connessione con la natura grazie alle vetrate che proseguono anche in copertura e al legno della struttura interna.
Oltre il rafforzamento del rapporto con il contesto attraverso tali trasparenze e sottrazioni, è stato posto tra i punti cardine del progetto anche il miglioramento dell’impatto ambientale dell’edificio: non solo pannelli fotovoltaici in copertura, ma anche un approccio fabric first, ovvero in grado di massimizzare le performance e le prestazioni dell’esistente con un occhio di riguardo, come ha sottolineato lo stesso fondatore dello studio, John McAslan, alle esigenze climatiche di conservazione, di temperatura e di umidità delle collezioni.
Questo progetto è dunque anche un esempio emblematico dell’impegno dello studio nel riutilizzo, nell’adattamento del tessuto edilizio esistente al contemporaneo: nel caso di The Burrell Collection il riutilizzo dei telai dei vetri in alluminio esistenti ha permesso di risparmiare oltre 8,5 tonnellate di nuovo alluminio da aggiungere all’edificio, evitando a sua volta 100 tonnellate di emissioni di carbonio associate alla produzione di nuovo alluminio. E poi, tra le altre cose, un sistema di guarnizioni su misura e tagli termici per il telaio vetrato esistente, sostituzione dei sistemi di copertura non visibili con alternative moderne.
«Nessun materiale in vetro è stato smaltito – ha sottolineato Graeme De Brincat, Senior Façade Engineer di Arup Façade Consultant del progetto –, 16 tonnellate di vetro sono state riciclate e il resto è stato destinato ad altri prodotti per l’edilizia. È stato gratificante vedere cosa si può ottenere con un approccio di progettazione circolare».
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Location: Glasgow, Scozia
Architects: John McAslan + Partners
Client: Glasgow Life
Completion: March 2022
Area: 13.253 m2
Landscape: John McAslan + Partners
Structures: David Narro Associates
Façade: Arup
Project Manager: Gardiner & Theobald
Main Contractor: Kier
Planning Consultant: John McAslan + Partners
Acoustics: Sandy Brown Acoustics
Suppliers (Lighting Stretch Ceiling System): Barrisol
Photography by Hufton+Crow, courtesy of John McAslan + Partners