Michael Green and Jim Taggart
Con l’avvento del XXI secolo, l’architettura si trova a un bivio. Sino a oggi, non c’è stata alcuna ragione per mettere in discussione la supremazia del calcestruzzo e dell’acciaio nelle costruzioni di edifici alti, ma nell’ultimo decennio i criteri di valutazione sono diventati più complessi. Le ambizioni astratte di “solidità, comodità e bellezza” proposte per primo da Vitruvio 2000 anni fa oggi ricadono in un quadro di imperativi globali pressanti che intimidiscono tanto per la scala, quanto per lo scopo. La prassi architettonica di oggi deve tenere in considerazione le problematiche legate al cambiamento climatico, alla crescita demografica e alla carenza di alloggi a livello mondiale. Nella primavera del 2015, mentre stavamo raccogliendo materiale per questo libro, l'Amministrazione Nazionale Oceanica ed Atmosferica (NOAA) ha annunciato che i cambiamenti climatici globali avevano raggiunto un nuovo e preoccupante record. Per la prima volta da quando la NOAA aveva iniziato a misurare la concentrazione di diossido di carbonio nell’atmosfera in 40 siti disseminati nel mondo, la media di queste misurazioni mensili superava 400 parti per milione (ppm). Secondo la NOAA ciò rappresenta un aumento di circa 120 ppm da quando ebbe inizio l’industrializzazione, circa due secoli fa. Come sappiamo, il rapido aumento delle emissioni di anidride carbonica è stato dettato dallo sviluppo tecnologico, dalla crescita demografica e dalla crescita proporzionata dell’uso di combustibili fossili. Tuttavia, l’accumulo di anidride carbonica e di altri gas serra nell’atmosfera non è stato lineare, poiché negli ultimi cinquant’anni si è registrato un picco verso l’alto pari a 60 ppm e nei soli ultimi tre anni di 7,5 ppm. Raggiungendo i 400 ppm, la concertazione atmosferica di anidride carbonica ha toccato un livello mai eguagliato prima sulla Terra da milioni di anni. Le implicazioni sono dunque significative. Secondo la Dott.ssa Erika Podest, ricercatore NASA del gruppo di analisi del ciclo del carbonio e dell’acqua, «questo dato è un campanello dall’arme, le nostre azioni in risposta ai cambiamenti climatici devono andare di pari passo con il persistente aumento di anidride carbonica. Il cambiamento climatico è una minaccia per la vita sulla Terra e non possiamo più permetterci di stare a guardare». È implicito leggere nelle parole del Dott.ssa Podest il messaggio che non è possibile cambiare il quadro climatico semplicemente raffinando il nostro modo di fare le cose, piuttosto dobbiamo radicalmente trasformare le nostre prassi commerciali e industriali per ridurre in maniera sensibile e, infine, eliminare l’emissione di gas serra. Sempre nella primavera del 2015, in Nepal due devastanti terremoti hanno provocato la distruzione di centinaia di edifici e la scomparsa di più di 8.000 vite umane, ricordandoci delle condizioni di vita al di sotto della media in cui versano troppe persone nei Paesi in via di sviluppo. Le statistiche sono allarmanti. Il Programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani ha stimato che un miliardo di persone (un cittadino su sette nel mondo) vive attualmente in quartieri poveri e che altri cento milioni sono senzatetto. Tenendo conto della costante crescita demografica, le proiezioni rivelano che nei prossimi vent’anni sarà necessario edificare 3 miliardi di unità residenziali a basso costo, la cui maggioranza sarà necessaria nelle città dei Paesi in via di sviluppo, in cui il tasso di natalità sta aumentando più rapidamente. A un primo sguardo, le sfide legate al cambiamento climatico e alla mezzità alloggi su scala globale sembrano essere tra loro svincolate. Tra le due, chi riceve più attenzioni nel mondo sviluppato è il cambiamento climatico, poiché gli effetti ambientali ed economici si ripercuotono direttamente attraverso frequenti uragani e alluvioni, episodi di siccità e di incendi forestali. Dall’altra parte, sebbene l’accesso a un alloggio adeguato e sicuro sia riconosciuto dalle Nazioni Unite come un diritto universale dell’uomo, non rientra in realtà nell’agenda quotidiana di gran parte della popolazione occidentale. Lo è, invece, per il gran numero di persone che vivono vicino o sotto la soglia di povertà e che quotidianamente devono preoccuparsi di trovare un pasto caldo e un luogo dove trascorrere la notte. In maniera comprensibile, per chi vive in queste condizioni i problemi climatici non possono essere nulla più di un concetto astratto. Tuttavia i leader dei movimenti ambientalisti credono sempre più che la soluzione alla crisi ambientale sia indistricabilmente connessa alle problematiche di equità, democrazia e giustizia sociale – non solo all’interno dei confini nazionali, ma in tutto il mondo. Questa presa di posizione è stata riassunta in maniera eloquente da Andrew Ross nel suo libro Bird on Fire del 2012, dove ha scritto: «Il compito di evitare un drastico cambiamento climatico può essere descritto come un esperimento – un vasto esperimento sociale attraverso azioni decisionali e democratiche. Il successo di questo sforzo non sarà determinato in prima istanza dal massiccio impiego tecnologico, sebbene in molti casi sarà necessario un suo ricorso lungo il cammino. Ai fini del risultato sarà invece decisiva la nostra consapevolezza, misurabile attraverso le nostre relazioni sociali, il nostro credo culturale e le nostre convenzioni costituzionali, di quanto questi cambiamenti siano necessari. Ecco perché la crisi ambientale è una sfida tanto biofisica quanto sociale, ed ecco perché le soluzioni dovranno essere guidate da una più esaustiva lotta per una giustizia globale rispetto a quanto, finora, tollerato o immaginato». Per inquadrare queste ineguaglianze in termini architettonici, circa il 20% delle emissioni globali di gas serra sono attribuibili alla costruzione e alla manutenzione degli edifici. Il 15% della popolazione mondiale distribuita in 35 dei paesi più sviluppati è attualmente responsabile di oltre la metà degli edifici costruiti in tutto il mondo. Allo stesso modo, a dispetto della retorica attorno alla riduzione di gas nocivi, i 10 Paesi che producono più anidride carbonica al mondo continuano a produrre due terzi delle emissioni su scala globale. La produzione del calcestruzzo, il materiale più utilizzato nelle costruzioni, è di per sé responsabile tra il 5 e l’8% delle emissioni globali di gas serra. Per ogni persona sul pianeta Terra vengono prodotti ogni anno circa 3 tonnellate di calcestruzzo. Sebbene questo dato includa anche il calcestruzzo utilizzato in infrastrutture, rappresenta comunque una significativa proporzione (20%) delle emissioni di gas serra prodotti nel mondo e attribuibili al settore dell’edilizia. La produzione di acciaio, pur richiedendo un consumo inferiore di carbonio e dando origine a un materiale relativamente riciclabile, necessita di circa il 4% dell’energia mondiale. Se dovessimo continuare su questa strada, l’aumento dell’attività edilizia genererebbe quantità incalcolabili di gas serra e un’accelerazione potenzialmente catastrofica degli effetti climatici. Ovviamente, l’edilizia nei Paesi in via di sviluppo dovrà crescere in maniera esponenziale per rispondere all’esigenza di alloggi, ma i materiali e le tecnologie attuali non possono accompagnare questo trend senza gravi conseguenze sull’ambiente. Sebbene la riduzione dell’energia richiesta per riscaldare e raffrescare gli edifici dipenda da soluzioni puntuali che rispondono a particolarità climatiche locali, la riduzione dell’energia in fase di cantiere può essere raggiunta utilizzando un approccio universale. Le tipologie di insediamento urbano a media altezza o superiori sono essenzialmente uguali ovunque e attualmente vengono realizzate utilizzando una muratura portante in calcestruzzo e uno scheletro strutturale in acciaio o calcestruzzo. L’unico materiale a nostra disposizione per realizzare soluzioni residenziali a questa scala che, al tempo stesso, riduce le emissioni di gas serra associate all’edilizia è il legno. Una nuova massiccia produzione come il CLT, associata ai software di progettazione e fabbricazione, ha accelerato lo sviluppo dell’edilizia in legno. Le statistiche indicano che il legno può essere utilizzato nelle costruzioni fino a 50 piani. Sebbene la ricerca e lo sviluppo di queste metodologie siano concentrati in Europa e Nord America, le implicazioni nell’industria globale delle costruzioni sono profonde. La diffusione delle costruzioni in legno a questa scala devono essere svolte utilizzando solamente materiale raccolto da foreste certificate e a gestione sostenibile, ricorrendo alla certificazione da enti terzi per garantire che la percentuale di raccolto non superi quella di rimboschimento e non dia luogo, di conseguenza, a casi di deforestazione e non intacchi ancor più la situazione climatica. Il fine di questo libro è quello di presentare gli argomenti a favore dell’uso del legno per torri e grattacieli e di mostrare i progetti completati che evidenzino l’applicabilità di questa metodologia costruttiva in varie tipologie edilizie, così come in diversi contesti geo-culturali. Sebbene le costruzioni di questo genere possano essere solo una parte delle soluzioni alle problematiche sociali e ambientali dinnanzi alle quali ci troviamo davanti, il ricorso al legno in edilizia rappresenterebbe nel mondo quel cambiamento di pensiero e quell’azione cooperativa essenziali per riequilibrare il quadro climatico globale ed eliminare le ineguaglianze che hanno contribuito all’insorgere dei problemi attuali.
Michael Green e Jim Taggart (Introduzione al libro Tall Wood Building. Design, Construction and Performance, Michael Green e Jim Taggart, Birkhauser 2017)