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Il Memoriale Giuseppe Garibaldi al Forte Arbuticci, Caprera

Pietro Carlo Pellegrini

Il Memoriale Giuseppe Garibaldi al Forte Arbuticci, Caprera
Scritto da Pietro Carlo Pellegrini -

C’è un momento, nella vita non solo professionale di un progettista, in cui s’incontrano luoghi rispetto ai quali la prima reazione, e anche quella che segue a un ragionamento più profondo, è di pensare che nessuna mano di architetto potrebbe migliorare la bellezza, la commozione, lo stupore che quei luoghi sanno regalare.
Questo momento, per chi attraversa l’Italia, arriva spesso. Se non arriva, il progettista deve porsi alcune domande. Anche serie. Una sera, ospite di Pietro Carlo Pellegrini e della sua famiglia, Rudy Ricciotti, dopo avere guardato con attenzione e attento rispetto alcune immagini del suo lavoro, espresse a chi vi scrive, non semplicemente la sua ammirazione per la qualità dell’architettura, ma anche la sua stima e vicinanza per “…un’eroica fede nel Razionalismo e nelle possibilità dell’Architettura”.
Ecco. Le architetture di Pellegrini, e con chiarezza questo Memoriale Garibaldi a Caprera, ci fanno ricredere sull’impossibilità, da parte dell’architetto e dell’architettura, di migliorare, di contribuire a rafforzare la meraviglia di un luogo già assoluto, già baciato dal vento di una bellezza che toglie il fiato e le parole. Il progetto del Memoriale è un dialogo.
Non ha nulla a che fare con il mimetismo o il rispetto timido di chi non si sente all’altezza. Lo capiamo quando, carichi dell’emozione di essere sbarcati ed esserci imbarcati più volte, ancora incerti fra il mal di mare e il mal di terra, attraversiamo il ponte che collega la Maddalena all’isola dell’Eroe dei Due Mondi, e, dopo esserci arrampicati fra mirti e inaspettati pini, alziamo la vista verso il biancore dei volumi restaurati.
Quel bianco è il primo gesto progettuale, a fronte e in sostituzione del precedente “color sovrintendenza”, un timido color sabbia mimetico (ma privo dell’eroismo dei trattamenti militari). Non sfuggirà, a chi dovesse visitare la vicina Casa Garibaldi, la forza del bianco quasi sudamericano (in realtà mitico e atavico) della prima casa del nizzardo e di quelle successive.
Scoprire, su questa isola nell’isola, nell’isola, un’architettura civile, contemporanea, rispettosa del luogo nei termini di una trasformazione, un’”Architettura Pubblica”, capace di significare e rappresentare, è una esperienza da augurare e consigliare ai tanti e disorientati studenti delle nostre Facoltà o Scuole di Architettura.
La ristrutturazione dei volumi del vecchio Forte Arbuticci, ottocentesca realizzazione sabauda, ha come tema la narrazione di una vita eroica, straordinaria e generosa come quella di Garibaldi, individuando un tema, quello del dialogo fra linguaggio architettonico contemporaneo e laconicità espressiva (e anche di costi), fra l’eroismo delle imprese militari, e la povertà e la serena accettazione delle regole dell’agricoltura e della vita, fra la mancanza di aulicità dei volumi del forte e la meraviglia dei contenuti della vita dell’Eroe, nei colori, nelle battaglie, nei pensieri e nei personaggi che l’hanno caratterizzata.
La scelta dell’Architettura sta in questa serie di dialoghi, in questa sfida: essere capace di significare e rappresentare la possibilità, per il Pubblico, per lo Stato, di esprimere le proprie volontà, di raccontare la propria Storia, attraverso l’architettura contemporanea, all’interno di un lavoro di restauro, recupero interpretativo, in un luogo dove la natura è portatrice di assoluta bellezza.
Attraversando i quattro edifici, scopriamo la fluidità degli spazi, sia architettonici che espositivi, e ci troviamo a concentrarci con emozione e interesse, anche da studiosi improvvisati e mai annoiati, sui contenuti del percorso museale, con una esattezza di luce e di apparente “assenza” di espressività (ottenuta attraverso le scelte di essenzialità di colore e materiali), che ci lascia leggeri, e capaci di stupirci improvvisamente della luce esterna, del vento che ci colpisce, della natura che si impone, passando da un edificio all’altro.
Poi, muovendosi intorno agli edifici principali, scopriamo l’esattezza di un intervento di recupero degli spazi esterni, che ci fa pensare che quel luogo sia sempre stato così, che quelle pietre siano sempre state lì, che quelle ringhiere metalliche siano state disegnate e posizionate da qualche oscuro e serio ufficiale del Genio militare Sabaudo, inspiegabilmente quasi intonse, e che ci fa capire come l’architetto abbia scelto un altro dialogo, terribilmente difficile, ma che da sempre caratterizza la sua opera, che è il dialogo con il Tempo. Intendiamo questa forma di dialogo, come la ricerca di un elemento di appartenenza al passato, e quindi al futuro, da collocare, da creare, da inserire in un’architettura: viene in mente l’edificio mancante della Scuola di Oporto di Alvaro Siza, o la ceramica colorata del Padiglione del Portogallo a Lisbona, sempre del Maestro portoghese; quel lavoro sul “vento del Tempo che accarezza l’edificio”, che ci fa percepire l’architettura come eroica perché non è ottusamente legata al quotidiano, non è espressione di egocentirsmo adolescenziale, come molta architettura dei nostri giorni (e purtroppo anche di questi luoghi). In questo Memoriale, questo vento del tempo incontra il vento della natura, attraverso la scelta coraggiosa del bianco totale, attraverso il sapiente e faticoso gioco di composizione di pietra, calcestruzzo, straordinari pavimenti alla veneziana, del cancello in acciaio corten, mai come in questo caso calzante e dialogante con la natura.
Nulla a che fare con il mimetismo, molto a che fare con la Mimesi.
Questo lavoro di “restauro creativo” (come lo definisce Pietro Carlo Pellegrini), ha proprio questa duplice forza: territoriale, nella sua bianca percezione avvicinandosi al forte, da centinaia di metri, e quindi un atto creativo paesaggistico e quasi artistico, e poi, di colpo, alla scala umana, del passo del visitatore, del suo braccio allungato, della sua mano, svolto attraverso il lavoro con i materiali, la luce naturale e artificiale, le dimensioni dello spazio.
Un’ultima annotazione, che aggiungiamo come contributo rispetto a una idea di Italia, e di futuro possibile: quest’opera pubblica ha rispettato i tempi e di costi previsti: ristretti i tempi e contenuti i costi. Lo ha fatto anche coinvolgendo artigiani di grande esperienza e qualità, individuati nel dialogo fra Struttura di Missione e Progettista, caratterizzato da fiducia e rispetto reciproci. Nonostante questi aspetti non abbiano, inevitabilmente, la risonanza del quotidiano, ci auguriamo, e confidiamo, abbiano quella del presente e della storia.

Gianluca Peluffo


Location: Caprera, Olbia-Tempio
Client:
Presidenza del Consiglio dei Ministri. Unità Tecnica di Missione per il 150° dell'Unità d'Italia
Completion:
2012
Gross Floor Area:
2.135 m2
Architects:
Pietro Carlo Pellegrini
Design Team:
Carlo Bertolini, Alessio Fiorini, Sirio Lazzari, Sheila Lazzerini, Margherita Pecori, Dario Arnone, Stefania Iurilli
Mission Unit for the 150th Anniversary of the Unification of Italy Installation Project Manager:
Anna Villari
Multimedia Design and Production:
N!03 [ennezerotre]
Multimedia Display Concept and Design:
Studio Next
Installation Logo and Graphic Design:
Klojaf Studio
Contractor:
Edilerica

Consultants
Structural, Plant:
Aice Consulting

Photography:
© Mario Ciampi

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