Un progetto in terra toscana, a Montelupo Fiorentino, per definire un luogo delle arti, un laboratorio vivo, un centro per diffondere l’arte contemporanea, un nucleo di memoria attiva, in cui l’arte trova esplicita concretezza insieme all’architettura, assecondando la ricerca di un’integrazione di forte segno: il paesaggio, le opere d’arte, gli spazi di esposizione e di laboratorio, il senso di un’architettura che osserva il divenire della realtà e rende possibile sedimentazione e contemporaneità. Un’interpretazione dell’architettura che suscita fattiva adesione nella profondità di pensiero, un’architettura che ascolta e propone, legge forme della creatività artistica e sintetizza percorsi di avvicinamento all’arte, sia in senso ideale sia in senso fisico. Un progetto sottoposto ad evoluzione nel tempo, in un lungo periodo di elaborazione, fra la necessità di individuare una nuova localizzazione e la necessità di cogliere affinamenti nelle idee fondamentali, che indicano una costanza evolutiva basilare del pensiero progettuale, nel fornire gli elementi per una identificazione dinamica della coesistenza e della coerenza fra architettura ed arte. L’idea di un “percorso”, che l’architettura offre, è un’invariante del progetto. Un percorso infatti connota strettamente i volumi architettonici nelle prime fasi di elaborazione, circondando e restringendo un’area, nella quale - attraverso un itinerario a spirale dei volumi che si avvolgono su se stessi - si svolge l’esperienza conoscitiva, verso l’arte, verso l’architettura, verso il paesaggio che viene assimilato e compreso nella costruzione dell’edificio, come la molteplicità del possibile. I volumi edilizi stessi dànno l’idea di un oggetto architettonico che esplora, in questa fase di progetto, e propone visioni differenti ed articolate: la spirale ascende, con i propri volumi architettonici squadrati e lineari, come se fossero prismi regolari, verso quote superiori. Analogamente, nella successiva localizzazione, che l’insorgere di problemi amministrativi ha reso necessario trovare, il terreno stesso e il territorio propongono suggestioni e indicazioni sottili. Un territorio collinare a dolci linee conforma riferimenti diretti per il progetto dell’atelier, attestandosi sull’ascolto del colore della terra, delle coltivazioni agricole che si perdono nei dintorni, del bosco antico che si pone sul crinale collinare come un ulteriore segno d’interpunzione, un confine vivo di colori e natura. Il progetto riprende la medesima idea generatrice, che fa dell’itinerario conoscitivo ed architettonico la forma per avvicinarsi alla sensibilità che l’arte esprime e dichiara con la coniugazione di concretezza e d’idealità nelle opere. Pluralità dell’idea di percorso: la forma fisica, terrestre, che si verifica attraverso una rampa che ascende al livello superiore e definisce l’edificio attraverso un muro che è anche un “recinto”. Un recinto aperto, in forte misura: se i prospetti mostrano porzioni di parete chiusa, il grande vuoto centrale si apre su un lato con un portico che dona l’orientamento verso il paesaggio. Una modalità coerente all’idea di attraversamento e di diffusione della creazione artistica: l’architettura dell’atelier-fondazione Bagnoli racchiude, incorpora, separa, ma si apre anche nella luce della sensibilità verso l’esterno, verso una sorta di dissoluzione della dicotomia interno-esterno, per una sintesi che coinvolge il paesaggio, i materiali del costruire. Tagli nelle volumetrie e percorsi incanalati attraverso passaggi a geometrie fluenti e ammorbidite dialogano con lo spessore e la concretezza della materia, il vuoto centrale rende emergenti le opere d’arte che vi si dispongono, il lato aperto del “recinto” segnala una direzione di scambio, fra natura ed artificio. Le dinamiche della natura vengono meditate e in parte riprodotte: il valore del tempo si diffonde all’interno dell’architettura, fra tempo della creazione artistica che viene assemblato nel percorso ideale narrato dal progetto, e tempo come processo di variazione e trasformazione nella materia. Tempo che si sedimenta ed arricchisce la percezione. Tempo che racconta interpretazioni: l’unione dei materiali e delle tecniche - talvolta di antica tradizione, come il fuoco che interviene a bruciare parzialmente i materiali lignei, in una combustione controllata - procede verso una relazione complessa dell’architettura col territorio, con la natura. La rampa e l’itinerario che interseca i volumi dell’architettura si fondano su una pavimentazione ad impasto di terre e pozzolana steso su un sottofondo di giunchi intrecciati e parzialmente bruciati; porzioni di pareti si compongono nell’apporto combinato di pozzolana, calce, giunchi, fuoco; il colore della terra, che si distende nell’edificio e subisce variazioni nel tempo, regola il “percorso” del tempo che si incastona nell’architettura - un altro genere di percorso -. Semplicità degli elementi, nel richiamo ad una dinamica delle forme e dei volumi, attraverso gli itinerari fisici ed ideali che si armonizzano nell’atelier: dinamica crescente nella possibilità di un’espansione ipogea dell’atelier, dinamica nell’inglobare il volume di un capannone in disuso, rendendolo luogo di esposizione e di attività, ponendo in rilievo la luce proveniente dallo shed in copertura. Spazi che generano i luoghi dell’interazione, verso un polo che rappresenta la molteplicità dell’arte contemporanea: nel vuoto centrale si assommano opere e visuali, osservando dall’alto lungo il percorso sopraelevato del muro-recinto, interagendo alla quota del terreno, in una relazione di vicinanza e profondità con le opere scultoree.
Francesco Pagliari
Luogo: Montelupo Fiorentino (FI)
Committente: Marco Bagnoli
Anno di Realizzazione: 2017
Superficie Costruita: 2000 m2
Architetti: Toti Semerano
Gruppo di Progetto: Stefano Zanardi, Ludovica Fava, Salvatore Musarò, Stefano Sabato, Iride Filoni, Stefano Antonello, Andrea Piscopo, Gunar Thom, Caterina Zaccaria, Joao Loureiro
Direzione dei Lavori: Arch. Luciano Scali
Consulenti
Strutture: Ing. Antonangelo Schipani
Termotenica: Ing. Giovanni Barbieri
Fornitori
Opere Edili: Edilsavy
Intonaci: Artemis
Pavimentazioni: Favaro1
Infissi: Benassi
Opere In Legno: Rubnerholzbau
Fotografie: © Stefano Zanardi, © Mario Lensi
LABORATORIO DI ARCHITETTURA
Il Laboratorio di Architettura, nato come estensione dello studio professionale Semerano, svolge la propria attività fra Padova e Lecce. Dal 2005 ha sede in un ex-tabacchificio immerso nella campagna leccese, un edificio massiccio costruito attorno a un aranceto e circondato da 13 ettari di girasoli: un luogo di incontro e di isolamento al contempo, in cui si coltiva la passione per l’arte e l’architettura come nelle botteghe rinascimentali. E’ incubatore di architettura frequentato da giovani architetti di diversi paesi, che vi svolgono attività professionale e di ricerca, ma anche da altri professionisti, da artigiani e artisti che collaborano a nuove forme di progettazione e sperimentazione multidisciplinare.
Il Laboratorio è un denominatore comune a personalità diverse e autonome. Non è un ufficio, ma uno spazio aperto a cui si può accedere sia fisicamente che attraverso la rete, un punto di convergenza per tanti ‘professionisti con la valigia’, ognuno col suo contributo di esperienze.
Toti Semerano, architetto e artista, una professionalità versatile e multiforme che lo allontana dall'establishment contemporaneo, in un lavoro di continua sperimentazione tecnica e plastica. Utilizza con la stessa passione tecniche innovative e materiali tradizionali, per creare comunque forme inedite, aperte e suscettibili di continue trasformazioni.
Riconoscimenti recenti: vincitore " The Plan Award 2017 Honorable mention - categoria "Culture", The Plan Award 2015 - categoria "Special Projects ", Pida 2012 -Premio alla carriera, Merit Award-concorso "Taiwan Towers Conceptual Design Competition" 2010, Biennale Internazionale di Architettura Barbara Cappochin 2009 Premio per la Cura degli Elementi di Dettaglio Architettonico.