Costruire in un contesto sociale in rapido cambiamento, con vincoli storici e paesaggistici praticamente inesistenti, con a disposizione risorse economiche illimitate e un potere assoluto sul governo del territorio, dovrebbe essere una condizione straordinaria per immaginare e realizzare una città radiosa.
Il primo elemento caratteristico di Doha (ma tipico di tutte le città del Golfo) è il peso determinante degli stranieri, quasi il 90% della popolazione della città, con un permesso di residenza temporaneo basato su un sistema di sponsorizzazione (kafala), cioè di legame diretto e inscindibile tra un soggetto locale (lo sponsor) e il lavoratore (l’expat) nei confronti dello stato. Un sistema che, negando ogni possibilità di libero movimento ai lavoratori (per cercare un lavoro o condizioni di vita migliori), pone il 90% della popolazione in una condizione di libertà condizionata, vigilata e surrogata dalla volontà dello sponsor. Questa struttura sociale potrebbe apparire poco rilevante dal punto di vista urbano, eppure questo “fattore umano” è alla base della struttura spaziale della città: della sua forma e delle sue dinamiche.
La seconda caratteristica della città è la rapidità con cui è avvenuto il suo sviluppo in un territorio desertico prevalentemente pianeggiante, che non ha opposto ostacoli a una sua rimodellazione profonda nel processo di attuazione dei masterplan che hanno inventato quasi da zero una nuova struttura urbana e un nuovo paesaggio.
Doha aveva appena circa 12.000 abitanti nelle prime decadi del ventesimo secolo, 80.000 negli anni Settanta, ed è solo negli anni Novanta, con la produzione del gas naturale e l’avvio delle politiche di liberalizzazione e di diversificazione dell’economia volute dallo sceicco Hamad Bin Khalifa Al Thani, che...
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